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Cattolica Library
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«Da eterna poesia»: quando Dante fece convertire Rebora
Roberto Cicala  |  25 novembre 2021

 «Stiamo nel cuore uno e anima una dei figli di Dio» scrive Clemente Rebora in una cartolina inedita conservata negli Archivi Culturali della Biblioteca della sede di Milano. Il documento riporta l’immagine dell’«Addolorata di Rosmini» e attesta il rapporto del poeta convertito con la filologa Maria Corti in anni di apostolato infaticabile a cavallo del 1950, tra conferenze e assistenze spirituali, senza dimenticare la letteratura tanto amata nella sua giovinezza ma quasi rinnegata come autore dopo la «scelta tremenda» di farsi sacerdote in età matura, già cinquantenne. Quando si fa rosminiano sceglie un silenzio poetico durato vent’anni anche se di letteratura parla, rivolgendosi specialmente a un pubblico giovane e femminile, al quale legge autori come Leopardi e Dante. Tra il pubblico c’è anche la Corti, che ricorderà: «nella chiesa di San Sepolcro, nell’omonima piazza dietro la Biblioteca Ambrosiana, teneva dei seminari che si connotavano per una grande tensione etica e a volte per una vera violenza linguistica. Qualche volta leggeva e commentava testi letterari, di preferenza leopardiani. […] In quei seminari egli parlò di testi che aveva personalmente trascritto a Recanati e che credeva inediti: Abbozzo d’inno a Cristo e Abbozzo d’inno a Maria». Tra le carte nell’archivio milanese di largo Gemelli sono rimaste anche quelle trascrizioni e la cartolina, indirizzata a Ginia Kluzer, in cui Rebora chiede notizie proprio della giovane filologa che si era ammalata e che ricorderà anche molte citazioni dantesche in quelle conferenze.

Non a caso l’intellettuale milanese che nel 1930, deciso a cambiare vita, «giustizia e libri e scritti e carte» della prima parte letteraria della sua esistenza, dando tutto a uno straccivendolo, tiene comunque con sé una Divina Commedia (Hoepli 1922, col commento di Scartazzini e Vandelli) che continua a postillare lungo tutta la vita, per lui un cammino tra inferno, purgatorio e paradiso, come ci raccontano le carte.

 

Cartolina di Rebora conservata negli Archivi Culturali della Biblioteca della sede di Milano
e trascrizione autografa di pseudo-Leopardi per conferenze

Questo poeta nato a Milano nel 1885 sembra aver vissuto le tre stagioni principali della sua esistenza quasi vivendole nelle tre cantiche. È la vicenda che narro nel volume Da eterna poesia attingendo molto da un epistolario vivacissimo: come confessa a Boine, «lo scrivere lettere inutili è per me talvolta una sottospecie della lirica».
La prima parte, dopo i Frammenti lirici pubblicati nel 1913 – che fin dalla rima “ventura:paura” dell’incipit rimanda a Dante nel «mezzo del cammin di nostra vita» –, è un inferno durante la Grande Guerra dove subì un trauma per lo scoppio di un obice da 300 chili di tritolo con ricoveri in ospedali e manicomi militari, compreso l’elettrochoc, soccorso dall’amore di una donna, la pianista russa Lydia Natus, con cui condivide il dolore di un aborto terapeutico per salvare la vita della madre (e in trincea le parole dantesche del gironi infernali lo aiutano a nominare e raccontare la realtà indescrivibile di quel «martirio inimaginabile» finché la diagnosi di uno psichiatra militare rivela la sua poetica: «mania dell’eterno».. La seconda stagione da insegnante «predicatore senza cattedra» in crisi è un purgatorio alla ricerca di una «scelta tremenda» e di un’identità per realizzare il suo desiderio di donarsi agli altri senza protagonismi, da cui il titolo della seconda raccolta, i Canti anonimi appunto, nel 1922, con la celebre poesia finale: «Dall’imagine tesa / Vigilo l’istante / Con imminenza di attesa – / E non aspetto nessuno […] / Verrà, forse già viene / Il suo bisbiglio».

Rebora giovane con le copertine di Frammenti lirici e Canti anonimi
Rebora giovane con le copertine di Frammenti lirici e Canti anonimi
con l’incipit dell’autografo di O carro vuoto sul binario morto

Infine c’è il capitolo biografico che corrisponde al paradiso, dopo la conversione e gli ordini religiosi presi in età avanzata, che però termina con un calvario fisico e mistico (scrive: «Tutto è al limite, imminente: / per lo schianto, basta un niente») tanto da far scrivere nel necrologio sul “Corriere della sera” a Eugenio Montale, che deve molto a Rebora per i suoi Ossi di seppia: «è un conforto pensare che il calvario dei suoi ultimi anni – la sua distruzione fisica – sia stato per lui, probabilmente, la parte più inebriante del suo curriculum vitae».
Tutto è stato vissuto e riletto da Rebora, come nessun altro autore contemporaneo (al pari di Eliot, per fare un esempio straniero illustre), alla luce della Divina Commedia, sempre al centro della sua produzione, tanto da lasciare l’edizione citata del poema con fitte postille in penna, matita nera ma soprattutto in matita rossa e blu, quella bicolore tipica delle correzioni degli insegnanti: colore blu a indicare errore e peccato, per esempio quando Dante parla del “folle volo” di Ulisse oppure colore rosso per sottolineare la grazia, come nell’«alto volo» del Paradiso (nel libro le postille sono trascritte filologicamente con la supervisione di Giuseppe Frasso).

 La Commedia postillata da Rebora dagli anni’20 alla morte: a sinistra le postille al canto di Ulisse (Inferno XXVI), a destra l’inizio del XXXIII del Paradiso
La Commedia postillata da Rebora dagli anni '20 alla morte:
a sinistra le postille al canto di Ulisse (Inferno XXVI), a destra l’inizio del XXXIII del Paradiso

Intanto don Clemente, che nel 1951 aggiunge Maria al suo nome, si trasferisce a Stresa, dove il 16 dicembre 1952 ha il primo di una serie di malori e ictus che lo portano all’infermità e agli ultimi venticinque mesi di Passio, mentre talvolta lo raggiunge per lettera o di persona il giovane editore Vanni Scheiwiller che nelle sue edizioni All’insegna del Pesce d’Oro pubblica le ultime opere tra cui Curriculum vitae e Canti dell’infermità. Gli sollecita anche testi, uno per il vecchio Ezra Pound malato e incarcerato. Nasce la poesia Da eterna Poesia a noi vien Dante, due anni prima della morte, testimonianza esplicita e ultima di un dantismo che accompagna Rebora fin dal 1913 nei Frammenti lirici, la raccolta d’esordio che vorrebbe intitolare I guinzagli del Veltro. Ma ancora prima, in una lettera del 1909, risponde al padre durante un forte contrasto di vedute: «Io sto con Buddha Cristo Dante».

 Tre redazioni del testo per Ezra Pound: «Da eterna poesia a noi vien Dante»
Tre redazioni del testo per Ezra Pound: «Da eterna poesia a noi vien Dante»

Dante, assimilato attraverso Leopardi, Mazzini e altri autori, appare così una chiave ermeneutica imprescindibile per cogliere il valore del poeta nella creazione letteraria e nella consapevolezza esistenziale, dal periodo vociano tra filosofia e musica alla «scelta tremenda» della conversione adulta e all’ultimo tratto di cammino alla ricerca della verità della Parola rivelata, perché la Commedia diventa anche sicuro passaggio al «grande codice» della Bibbia, con un’influenza tanto linguistica ed estetica quanto etica e teologica. E tra le carte ritrovare ci sono anche molti cartigli dedicati a Ulisse, in chiave autobiografica a proposito del naufragio esistenziale. Scrive: «Dante prima credeva bastasse potenziare le forze finite. Ecco il canto di Ulisse, una delle chiavi a penetrare il pensiero di Dante: virtute e conoscenza = volontà dell’uomo in antitesi con la volontà di Dio, che o esclude o ignora. Questo concetto conduce al naufragio Ulisse, già in vista del Paradiso terrestre. La civiltà moderna ha preso l’ideale di Ulisse (= il folle volo di Icaro = disarmonia con la volontà di Dio) e insegna l’esperienza che pare arrivare ma al suo fine non giunge; mentre nell’armonia con la volontà di Dio pare di incespicare più volte, però poi giunge l’aiuto misterioso che porta su di un balzo. La posizione di Dante anche nel Convivio è: alto volo». Così si riscopre un poeta novecentesco per il quale «da eterna Poesia a noi viene Dante».

 


Booktrailer di Da eterna poesia curato dal Laboratorio di editoria dell’Università Cattolica

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Bibliografia

Il volume cui si fa riferimento nel testo è Roberto Cicala, Da eterna poesia. Un poeta sulle orme di Dante: Clemente Rebora, presentazione di Alberto Casadei, il Mulino, Bologna 2021, in uscita a novembre.

Le opere principali di Clemente Rebora (1885-1957) pubblicate in vita sono:
Frammenti lirici, Libreria della Voce, Firenze 1913.
Canti anonimi raccolti da Clemente Rebora, Il Convegno Editoriale, Milano 1922.
Le poesie (1913-1947), raccolte ed edite a cura di Piero Rebora, Vallecchi, Firenze 1947.
Curriculum vitae, All’insegna del Pesce d’Oro, Milano 1955.
Canti dell’infermità, All’insegna del Pesce d’Oro, Milano 1956 e 1957.

La raccolta che ha data popolarità al poeta è Le poesie (1913-1957), a cura di Gianni Mussini e Vanni Scheiwiller, Scheiwiller-Garzanti, Milano 1988; poi in tascabile 1994, 1999. Di recente è uscito anche un Meridiano: Poesie, prose e traduzioni, a cura e con un saggio introduttivo di Adele Dei, con la collaborazione di Paolo Maccari, Mondadori, Milano 2015.

Nel 50° della morte in Università Cattolica si è tenuto una mostra (catalogo: Le carte di Rebora. Libri, autografi e immagini nella vita e nelle opere del poeta, Isu-Università Cattolica [Educatt], Milano 2007,) e un convegno (atti: A verità condusse poesia. Per una rilettura di Clemente Rebora, atti del convegno, Milano 30-31 ottobre 2007, a cura di Roberto Cicala e Giuseppe Langella, Interlinea, Novara 2008).

 
 
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