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La “fine” di Lotta Continua

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RIMINI. A quasi due anni dal primo (che si era tenuto a Roma dal 7 al 12 gennaio del 975), Lotta Continua si riunisce in congresso.

L’organizzazione ci arriva sull’onda della pesante sconfitta elettorale del 20 giugno del 76, quando il cartello “unitario” della sinistra rivoluzionaria esce vistosamente penalizzato da un risicato 1.5% alla Camera, pari a 557.000 voti.

Una sconfitta che al proprio interno determina uno scontro tra chi, nel criticare la linea politica incapace di cogliere la natura della fase, afferma che è necessaria una svolta di direzione puntando ad una maggiore attenzione al sindacato (e mandando in soffitta “l’autonomia operaia”, parole d’ordine come le 35 ore considerata una rivendicazione astratta dai reali rapporti di forza) ed ad una accelerazione del processo unitario della sinistra rivoluzionaria e chi contrappone a queste critiche la continuità del patrimonio di Lotta Continua.

Nelle conclusioni dell’assemblea Nazionale di luglio Sofri, chiudendo alle istanze di quella che viene ormai identificata come “la destra” propone un’apertura ai movimenti ed alle nuove tensioni che soprattutto da parte delle compagne sono tornate ad esprimersi in assemblea (“tali tensioni si sono trasformate in un processo rivoluzionario che è sfuggito interamente dalle mani del governo ufficiale dell’organizzazione” A. Sofri)

Nell’estate autunno la crisi dei militanti si manifesta sotto forma di segmentazione dell’organizzazione per comparti sociali: le donne, gli operai ed in ultimo anche i giovani che iniziano a riunirsi per proprio conto.

In questo clima, alla presenza di oltre 1000 compagne e compagni, si apre dunque il secondo congresso per il quale, volutamente, non vengono redatte tesi e documenti ufficiali e la segreteria nazionale si presenterà dimissionaria.

Lo svolgimento e l’esito del congresso sono una storia raccontata e vissuta in centinaia di modi tutti diversi e tutti veri; lo studio delle contrapposizioni non è merito di questo articolo.

Di fatto il terremoto col quale abituarsi a vivere evocato nella relazione introduttiva da Adriano Sofri si trasforma in un tracollo organizzativo improvviso e totale.

Citando Luigi Bobbio dal suo libro “Storia di Lotta Continua” su come questa dissoluzione sia stata possibile:

“Su questo aspetto la polemica è tuttora aperta. Coloro che hanno salutato come una liberazione la fine della forma partito hanno cercato di rivendicarla all’impeto delle nuove idee sprigionate dal femminismo e dalla cultura del personale. Altri, per ragioni opposte, hanno puntato il dito sull’irresponsabilità del gruppo dirigente che ha preferito tirarsi indietro di fronte alle contraddizioni. In realtà la dissoluzione ha radici molto più lontane; rappresenta cioè l’esito di un’ambiguità che ha accompagnato tutta la vita dell’organizzazione”.

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