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denuncia il «collettivismo tecnologico» e i rischi legati alle alterazioni del cervello

Attenti a Internet, ci fa perdere
la concentrazione e la memoria

L’allarme di Nicholas Carr contro la dittatura della Rete. Il suo saggio divide l'America

denuncia il «collettivismo tecnologico» e i rischi legati alle alterazioni del cervello

Attenti a Internet, ci fa perdere
la concentrazione e la memoria

L’allarme di Nicholas Carr contro la dittatura della Rete. Il suo saggio divide l'America

Le ambiguità di Internet nel disegno di Dave Cutler (Corbis)
Le ambiguità di Internet nel disegno di Dave Cutler (Corbis)
«Basta prendere Internet e le tecnologie digitali a scatola chiusa. Offrono opportunità straordinarie di accesso a nuove informazioni, ma hanno un costo sociale e culturale troppo alto: insieme alla lettura, trasformano il nostro modo di analizzare le cose, i meccanismi dell’apprendimento. Passando dalla pagina di carta allo schermo perdiamo la capacità di concentrazione, sviluppiamo un modo di ragionare più superficiale, diventiamo dei pancake people, come dice il commediografo Richard Foreman: larghi e sottili come una frittella perché, saltando continuamente da un pezzo d’informazione all’altra grazie ai link, arriviamo ovunque vogliamo, ma al tempo stesso perdiamo spessore perché non abbiamo più tempo per riflettere, contemplare. Soffermarsi a sviluppare un’analisi profonda sta diventando una cosa innaturale».

Nicholas Carr è la bestia nera dei fan della Rete «senza se e senza ma» e dell’industria delle tecnologie digitali. Due anni fa un suo saggio, pubblicato dalla rivista «The Atlantic» col provocatorio titolo «Google ci sta rendendo stupidi?», fu il primo sasso gettato nello stagno della Internet culture. Carr, uno studioso che ha lavorato nella consulenza aziendale e ha diretto a lungo la «Harvard Business Review», fu bollato dal popolo del web come un nemico della tecnologia.

«In realtà — racconta oggi dalla sua casa in Colorado dove si è ritirato a scrivere libri—fin dagli anni Ottanta sono sempre stato un consumatore febbrile delle tecnologie digitali a cominciare dal Mac Plus, il mio primo personal computer. Sono sempre stato un tecnofilo, non un tecnofobo. Ma il mio entusiasmo si è man mano attenuato con la scoperta che, oltre ai vantaggi che sono sotto gli occhi di tutti, la Rete ci porta anche svantaggi assai meno evidenti e proprio per questo più pericolosi. Anche perché gli effetti saranno profondi e permanenti ».

Jaron Lanier, il genio dell’intelligenza artificiale che in un recente libro- manifesto ha messo in guardia dal «collettivismo» di Internet che uccide la creatività individuale, in Rete è stato bollato come un traditore. Sarà più difficile trattare nello stesso modo The Shallows («Superficialità: Quello che internet sta facendo alla nostra mente») il suo nuovo libro che già fa discutere quando mancano ancora più di due mesi alla pubblicazione negli Usa. Il perché lo spiega lo stesso Carr: «Quello sull’"Atlantic" era un saggio scritto sulla base della mia esperienza personale, una riflessione su come la cultura digitale ha cambiato il mio comportamento. Negli ultimi due anni mi sono sforzato di andare oltre il personale, esaminando le evidenze scientifiche e sociali di come Internet—e anche rivoluzioni precedenti come quella dell’alfabeto — hanno cambiato la storia intellettuale dell’umanità. E di come le nuove tecnologie influenzano la struttura del nostro cervello perfino a livello cellulare».

Nel dibattito promosso dalla «Edge Foundation» su questi temi, lei ha citato il caso della «Cushing Academy », una scuola d’elite che forma le classi dirigenti del Massachusetts fin dai tempi della Guerra di Secessione, dalla cui biblioteca sono improvvisamente scomparsi tutti i libri: sostituiti da computer per fare ricerche. Che ruolo sta giocando la scuola in questa rivoluzione?

«La scuola dovrebbe insegnare a usare con saggezza le nuove tecnologie. In realtà, però, gli educatori e perfino i bibliotecari si stanno abituando all’idea che tutta l’informazione e il materiale di studio possano essere distribuiti agli studenti in forma digitale. Dal punto di vista economico ha certamente senso: costa meno. Ma limitarsi a riempire le stanze di sistemi elettronici è miope. Come ci insegna McLuhan, il mezzo conta, e parecchio. Senza libri non solo è più difficile concentrarsi, ma si è spinti a cercare di volta in volta su Internet le nozioni fin qui apprese e archiviate nella nostra memoria profonda. La perdita della memoria di lungo periodo è il rischio più grosso: è un argomento al quale ho dedicato un intero capitolo».

Il cofondatore di «Wikipedia», Larry Sanger, ammette i rischi di distrazione ma l’accusa di essere troppo pessimista, di non avere fiducia nella capacità dell’uomo di gestire con raziocinio le nuove possibilità offerte da tecnologie che rappresentano, comunque, un grande progresso per l’umanità. L’esercizio della libertà, dice Sanger, richiede responsabilità, capacità di mettere a fuoco i problemi e di risolverli. Anche nell’universo digitale

«I fautori della libertà totale di acquistare e portare armi ragionano nello stesso modo quando dicono: le armi non uccidono gli uomini, sono gli uomini che uccidono altri uomini. Non voglio fare polemiche e vorrei che Larry avesse ragione: io non sono un determinista tecnologico. Purtroppo l’esperienza ci dice che la sua è una visione un po’ naïve: quando una nuova tecnologia diventa di uso comune, tende a cambiare le nostre abitudini, il modo in cui lavoriamo, il modo in cui socializziamo ed educhiamo i nostri figli. E ciò avviene lungo percorsi che in gran parte sfuggono al nostro controllo. È successo in passato con l’alfabeto o l’introduzione della stampa. Succede, a maggior ragione, oggi con Internet. La gente tende a non esercitare le possibilità di controllo, magari perché le interruzioni, le distrazioni che trova in rete, le portano pezzi di informazione interessante, o anche solo divertente»

Oggi, poi, non c’è solo l’uomo più o meno capace di plasmare il suo futuro: pesano anche gli interessi delle grandi corporation delle tecnologie digitali. Riecco Google...

«A far fare soldi alle società della Rete è il nostro moto perpetuo da un sito all’altro, da una pagina web all’altra. Sono i nostri clic compulsivi a far crescere gli incassi pubblicitari. L’ultima cosa che può desiderare una società come Google è che diventiamo più riflessivi, che ci soffermiamo di più su una singola fonte d’informazione ».

Curioso. A sostenere la tesi della libertà assoluta della Rete, senza regole né percorsi educativi, sono soprattutto i progressisti. Con argomenti che, almeno negli Stati Uniti, a volte ricordano quelli usati dai libertari conservatori sulle armi, contro i vincoli in campo ambientale o le regole di educazione alimentare che avrebbero potuto evitare le epidemie di obesità e diabete. Nemmeno Google suscita, per ora, grandi diffidenze. Perché?

«Perché la controcultura della sinistra Usa, contrarissima ai grandi calcolatori Ibm fino ai roghi di schede perforate degli anni ’60, ha poi scoperto nel personal computer — uno strumento individuale sottratto al controllo delle corporation e dei governi— uno strumento di libertà. Ed effettivamente era così, è stato così a lungo. Ma negli ultimi anni molto è cambiato: dal crowdsourcing che significa lavoro e idee gratuite per molte società che operano in Rete, alle reti sociali come Facebook che si comportano come latifondisti dell’Ottocento: affittano gratuitamente pezzetti di terra per poi guadagnare sulla sua coltivazione. È ora di cominciare a riflettere».

Massimo Gaggi
27 marzo 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA

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