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Opinioni

Perché l’Artico sarà il teatro della prossima guerra tra Putin e l’Occidente

La fine della Lega Artica, Svezia e Finlandia nella Nato, le risorse energetiche e minerali, le rotte navali tra i ghiacci che si sciolgono: la guerra oggi è in Ucraina, ma domani sarà lì. Perché è lì, nell’estremo nord, che si decide chi comanda il mondo.
A cura di Fulvio Scaglione
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“La Russia non parteciperà alla trasformazione di questa organizzazione in un'altra piattaforma di attività sovversive e narcisismo occidentale". Con queste poche e sentite parole il Cremlino ha detto addio al Consiglio degli Stati del Baltico, l'organismo creato all'epoca dello scioglimento dell'Urss per coordinare le politiche dei Paesi che affacciano su quel mare. La Russia, come abbiamo già raccontato, presidia il Baltico con l'exclave di Kaliningrad, nel tempo trasformata in una vera piazzaforte dotata di missili atomici e di modernissime difese anti-nave. Se Svezia e Finlandia, come pare, nella Nato, il Baltico di fatto diventerà un mare dominato dall'Alleanza Atlantica.

La decisione russa di uscire dal Consiglio – che peraltro aveva sospeso la Russia in seguito all'invasione dell'Ucraina, nonostante che Mosca avesse la presidenza dell'organizzazione fino al 2023 -, per quanto non fondamentale in sé, è una brutta notizia, soprattutto perché conferma che la guerra tra Mosca e Kiev (e, per interposta Ucraina, tra la Russia e l'Occidente) allarga costantemente il cerchio delle sue conseguenze. E sempre più si avvicina a una regione cruciale per gli equilibrii mondiali: l'Artico. Perché questo spazio si appresta a trasformarsi nello stesso senso del Mar Baltico: quando Svezia e Finlandia entreranno nella Nato, tutti i Paesi (Usa, Canada, Danimarca, Islanda, Norvegia e, appunto, Svezia e Finlandia) che affacciano sull'Artico saranno membri dell'Alleanza. Tutti tranne uno, il più artico di tutti: la Russia, che sul mare freddo ha 24 mila chilometri di coste, il 53% del totale. Anche tra i ghiacci, insomma, si preannuncia uno scontro “Russia contro tutti” pieno di incognite e di rischi.

La Russia è conscia da tempo del valore strategico delle sue coste artiche. Non a caso nel 2014 ha costituito la Flotta del Mare del Nord, basata sulla penisola di Kola e dotata di sottomarini con missili nucleari, aerei anti-sottomarino, portaerei e navi porta-missili. E se l'anno 2014 vi dice qualcosa, ebbene sì, avete ragione: la decisione di organizzare una flotta a presidio del Grande Nord fu presa subito dopo la prima crisi ucraina e la riannessione della Crimea, il che fa capire che i due fronti, nella visione globale del Cremlino, sono strettamente collegati. Discorso che vale anche per il suo opposto. L'arrivo in armi della Russia ha spinto la Nato a rafforzare la propria presenza militare, gli uni e gli altri hanno cominciato a svolgere esercitazioni militari sempre più frequenti e massicce, tensione e diffidenza sono cresciute di pari passo.

Tutti sanno che l'Artico è uno scrigno difficile da penetrare ma stracolmo di ricchezze. Secondo i geologi del Governo Usa, sotto i ghiacci e il permafrost riposano riserve enormi di gas e petrolio (qualche anno fa sempre gli americani le valutarono più o meno pari a quelle dell'intera Russia), di materiali preziosi o fondamentali per l'industria (nickel, zinco, ferro), persino di acqua potabile. Già oggi l'Artico è per la Russia è miniera fondamentale di alluminio, materiali ferrosi, fosfati. Qui ci sono riserve altrettanto importanti di acqua potabile. Qui, domani, potrebbero decidersi le sorti dello sviluppo delle energie alternative, soprattutto di quella eolica.

Ma lo sviluppo più recente, quello che ha risvolti politico-militari più importanti, non riguarda ciò che c'è sotto il mare, ma ciò che sta sopra. Ovvero i ghiacci che, a causa del cambiamento climatico, si consumano, si ritirano, diventano più sottili e ormai quasi permettono la navigazione. Anche in questo caso la Russia si è mossa con anticipo, tanto che oggi è l'unico Paese al mondo ad avere una flotta di rompighiaccio a propulsione atomica. E nel febbraio del 2021 ha cominciato a raccogliere i primi frutti: nel febbraio del 2021 la nave gasiera “Christophe de Margerie” (dal nome dell'ex amministratore delegato della Total, morto a Mosca nel 2014 in un incidente aereo), di proprietà dell'armatore russo Sovkomflot, ha navigato dal porto siberiano di Sabetta a quello cinese di Jiangsu senza essere preceduta da un rompighiaccio, percorrendo da sola 10 mila chilometri in 11 giorni, cioè quasi una settimana in meno della rotta “normale” attraverso il Canale di Suez.

Le più pessimistiche previsioni degli scienziati ipotizzano che la rotta artica (che gli esperti chiamano Northern Sea Route) possa diventare pienamente percorribile, causa appunto lo scioglimento dei ghiacci, intorno al 2035. È facile capire quale sconvolgimento ciò potrebbe portare negli equilibri commerciali planetari, e di quale vantaggio potrebbe godere un Paese come la Russia, cui benessere economico tanto dipende dalle esportazioni di gas e petrolio, con i rompighiaccio nucleari, la Flotta del Mare del Nord, le decine di migliaia di chilometri di costa artica e le decine di porti che la punteggiano.

Tanto più che, negli ultimi due decenni, e con la sola esclusione del gas, la tendenza generale, in Russia, è stata di diminuire le relazioni economiche con l'Ovest per aumentarle con l'Est, in particolare con la Cina. Cioè con un Paese che, pur non avendo affacci sull'Artico, dedica sempre più attenzione alla regione, per ragioni appunto legate alla sicurezza e ai commerci, ed è ovviamente in prima fila nel collaborare con la Russia, anche per sfruttare il saldo impianto che il Cremlino ha costruito lungo le sue coste del Nord.

Aveva ragione, dunque, chi diceva che la guerra in Ucraina cambia il mondo. Con un solo, fondamentale problema: nessuno, oggi, può prevedere fin dove il cambiamento arriverà e dove a un certo punto si fermerà.

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