Sicurezza

Come funzionano i bot che controllano il web e influenzano l’e-commerce

di Giancarlo Calzetta

(AFP)

3' di lettura

Il web ha preso il suo nome dalla forma delle ragnatele, che danno un'ottima idea di interconnessione tra tutti i nodi che la compongono, ma forse sarebbe ora di cambiare metafora con qualcosa di più calzante con la situazione attuale: una giungla. In 20 anni, Internet si è trasformata da luogo di scambio di informazioni a un cyberspazio pieno di pieghe nascoste, ecosistemi, microecosistemi e creature autonome che lo attraversano a caccia di dati.
Un esempio meraviglioso di queste ultime sono i bot: programmi istruiti per andare a recuperare informazioni su siti specifici o nascosti nel web. Non sono intelligenti, ma sono efficienti ed efficaci. Si collegano, fanno finta di essere umani, raccolgono i dati e scappano per correre verso il prossimo sito da razziare. E sono tanti. Così tanti che, secondo una ricerca di Encapsule, nel 2016 i bot hanno generato più traffico degli esseri umani.

Ma cosa fanno questi programmi? E perché?
Uno studio di Akamai, azienda specializzata nel degital delivery, ne analizza l'impatto sui siti web e quanto ci ha raccontato Nicola Ferioli, Head Engineer di Akamai, è incredibile: «L'attività dei bot è molto varia: si va da operazioni malevole tese a generare attacchi web fino ad attività benigne. In mezzo c'è una vastissima zona grigia in cui bisogna fare delle scelte».
Il tipo di bot più comune, benvoluto, è quello dei motori di ricerca: da Google alla pletora di motori meno conosciuti, tutti usano dei bot, detti spider, per indicizzare il contenuto dei siti. Sempre tra quelli bene accetti ci sono i bot che verificano la sicurezza di un sito, ammesso che il loro operato sia stato richiesto. Accanto a questi, infatti, ci sono dei bot che vanno a caccia di vulnerabilità per conto di criminali che cercheranno di compromettere i siti per scopi illeciti.

Loading...

L'arena è quella dell'ecommerce
Uscendo dal lato più “tecnico”, si incontrano bot specializzati in compiti che pochi conoscono. Innanzitutto, ci sono quelli che si occupano di spiare i siti di e-commerce per conto dei loro concorrenti. Sono molto diffusi e verificano continuamente l'andamento dei prezzi per permettere a chi li controlla di controbattere a offerte speciali, ribassi dei prezzi e, in generale, avere sempre un vantaggio sugli avversari.
Sempre in ambito e-commerce, sono anche molto diffusi quei bot dedicati a comprare della merce a prezzi vantaggiosi. In pratica, un software tiene sotto controllo siti come Amazon, Yoox e simili per approfittare delle offerte speciali e acquistare i beni appena il prezzo crolla. In alcuni casi, il programma è capace di rimettere subito in vendita su Ebay quanto acquistato in maniera automatica. La pratica è così diffusa che quest'anno è stata una vera e propria guerra tra bot durante Black Friday (che ormai dura settimane), Cyber Monday e simili. In ultimo, è ormai famoso il caso dell'acquisto di beni che può avvenire solo a partire da una certa data, come nello scandalo dei biglietti dei concerti che sparivano dalle rivendite ufficiali per ricomparire su siti di operatori terzi a prezzi maggiorati.

Effetti collaterali, ma gravi
Tutti questi sono bot che mirano direttamente ad assicurare un vantaggio economico, ma i loro continui accessi pesano anche su altri aspetti. «Il primo – ci dice Ferioli – è quello del traffico. Se dei bot iniziano a martellare un sito con milioni di richieste, tutto inizia a rallentare e l'esperienza d'uso per chi è in carne e ossa diventa orribile». Poi ci sono tutte le implicazioni per chi deve leggere le statistiche del sito e capire come farlo funzionare meglio. Molti bot replicano in maniera fedele il comportamento umano per evitare di farsi riconoscere e questo genera un enorme rumore di fondo per chi deve capire come funzionano gli investimenti pubblicitari, le modifiche all'interfaccia di un sito, il ritorno che ogni investimento ha per l'azienda. Senza dimenticare i costi per gestire un traffico che è spesso per metà generato da utenti non umani.

Gli strumenti per difendersi non mancano, ma bisogna saperli usare
Quando una soluzione antibot identifica un software al lavoro, bisogna scegliere la giusta strategia da applicare. Se è un bot “buono”, bisogna lasciarlo agire. Se è indesiderato o addirittura malevolo, invece, bloccarlo non è quasi mai l'idea migliore. «Se blocchi un bot indesiderato – conferma Ferioli – avvisi il suo gestore che c'è un problema e questi cercherà un modo per aggirare l'ostacolo». Molto meglio, quindi, limitare la velocità del suo operato, rallentandolo artificialmente, oppure fornirgli informazioni fasulle, compromettendo la base dati di chi lo sfrutta.

Articolo uscito sul Sole 24 Ore del 27 novembre 2017

Riproduzione riservata ©
Loading...

Brand connect

Loading...

Newsletter

Notizie e approfondimenti sugli avvenimenti politici, economici e finanziari.

Iscriviti