Rubrichette è lo show comico di Edoardo Zaggia e Alberto Sacco. Oppure, come lo hanno definito loro stessi in una delle ultime puntate, Rubrichette è: «L’unico show che dedica la puntata 77 alle gambe delle donne, perché sono utili per camminare, a fine giornata si gonfiano, ma soprattutto servono ad attirare lo sguardo sessualizzante maschile che non lascia neanche un centimetro di pelle della donna scoperto da commenti non richiesti».

Edoardo a Alberto vivono a Milano, hanno ventotto anni e sono originari della provincia di Padova. In una lunga videochiamata dall’atmosfera di aperitivo – anche se nelle nostre tazze c’erano solo tisane – hanno raccontato dei piccoli centri che sono luoghi dell’anima, dell’ironia che salva, dello spostarsi non per rinnegare le origini ma per portarle con sé e trovare il proprio posto nel mondo, di crescere negli anni Novanta affratellati ai contenitori televisivi, dell’appropriarsi dei social per offrire uno spazio di rappresentazione e poi del lavorare fino a notte fonda, scrivere, ridere, creare un prodotto mediatico dal niente e farlo mentre il mondo si ferma.

La prima puntata viene caricata su YouTube all’alba del primo lockdown e, da allora, i nostri torneranno a esclamare «Benvenuti a Rubrichette!» ogni venerdì alle 18:00. La location è il loro appartamento, alla regia c’è Alberto, mentre davanti alla telecamera Edoardo ci racconta come ottenere un titolo nobiliare acquistando un appezzamento di terra online, i mestieri delle suore, il trauma di essere spediti a giocare a calcio quando invece volevi fare danza, perché gli spot televisivi di vent’anni fa erano un abominio o come creare una pizza gay.

Insieme alla soap opera partenopea Un posto al sole, rimarranno gli unici ad aver estromesso Coronavirus e pandemia dalla propria narrazione. Non per una forma di diniego ma per creare un vero spazio di decompressione, un’area sicura che per circa un quarto d’ora, una volta a settimana, porta i suoi follower altrove.

Partiamo dalle basi, chi sono Edoardo Zaggia e Alberto Sacco e che cosa fanno quando non si occupano di Rubrichette?

Alberto: Sono regista e sceneggiatore, ho lavorato principalmente nel cinema ed è l’attività che porto avanti quando non mi occupo di Rubrichette.

Edoardo: Io invece faccio il comico. Prima della pandemia, quando c’erano i palchi, era più facile definirsi tale. Adesso non lo so, forse dovrei dire che sono più un comico-influencer.

Come e quando nasce questa creatura chiamata Rubrichette?

Alberto: La prima puntata è stata pubblicata il tredici marzo 2020. Ci pensavamo da mesi, ma la fatalità ha voluto che il progetto partisse proprio con il lockdown. In un certo senso ci ha aiutati perché trovandoci all’improvviso chiusi in casa, per mesi, avevamo bisogno di un diversivo.

Edoardo: Lanciare Rubrichette in quel momento è stato fondamentale, perché il tempo che avremmo passato alla finestra chiedendoci “ma che cosa sta succedendo?” lo abbiamo invece trascorso incollati al computer o alla telecamera, a scrivere o a editare senza mai un attimo libero. Si è trattato di una cosa bella accaduta in un momento complesso.

Reazioni e riscontri?

Alberto: Rubrichette è diventato subito un appuntamento fisso per molti utenti, ma la cosa che ci ha colpiti di più è stata ricevere messaggi da parte di chi ci ringraziava perché li stavamo aiutando a passare un periodo migliore. In questo forse va considerato anche il fatto che da subito avevamo stabilito di non far entrare la pandemia nello show. 

Edoardo: In occasione della puntata anniversario abbiamo chiesto di mandarci dei contributi scritti e vocali e siamo stati sommersi da messaggi anche molto commoventi. Dopo un anno di contatti limitati con il mondo esterno l’impatto è stato forte, così come riscontrare che i numeri aumentavano e che a quel punto non erano più solo i parenti a guardarci. Ora poi è iniziata una collaborazione con il canale YouTube di Amazon Prime e niente di tutto questo era scontato.

L’ironia è la cifra che più di ogni altra caratterizza Rubrichette, quanto è importante nelle vostre vite?

Edoardo: Da bambino, quando il mio cervello ha iniziato a mettersi in moto, ho capito che l’ironia in alcune situazioni mi avrebbe aiutato e in altre mi avrebbe letteralmente salvato la vita. Per quello che ero, cioè un ragazzo giovane che vive in un piccolo centro e a un certo punto si scopre gay, è stato anche uno scudo utile a tenere le persone a distanza. Oggi è il contrario, Rubrichette è più un’apertura che una chiusura. L’ironia va bene, ma la devi anche costruire se vuoi farla diventare un mestiere. Dunque qui a Milano ho studiato comicità con Angelo Pisani, Alessio Tagliento, Diego Cajelli, e strutturato quello che si era già formato quasi inconsciamente, per tutta la mia vita, attraverso l’esperienza diretta.

Alberto: L’ironia è sempre stata fondamentale anche per me, ma con sfumature diverse perché faccio un altro lavoro. Considerando il cinema mi viene da pensare a Divorzio all’italiana, a Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto, a I soliti ignoti; commedie che sono riuscite a raccontare porzioni del paese che film drammatici degli stessi anni non hanno rappresentato con la stessa potenza. Inoltre penso che i nostri coetanei hanno avuto modo di affinare tantissimo questo strumento. Guardiamo ad esempio la pratica dei meme, è come se noi della generazione cannibalizzata dalle precedenti a un certo punto ci fossimo guardati allo specchio e avessimo detto “almeno scherziamoci su”. 

Edoardo: Un po’ come dice Victoria Cabello, “allora vale tutto”.

Possiamo dire che Rubrichette è anche una forma di attivismo?

Alberto: Francesco Costa qualche tempo fa ne ha dato una definizione quasi da dizionario, diceva “il giornalismo racconta la realtà, l’attivismo la vuole cambiare”. Ecco noi non stiamo né raccontando né cambiando la realtà, ma ci collochiamo in una via di mezzo. Vediamo Rubrichette come uno show comico, ma è vero anche che cerchiamo di raccontare ciò che ci circonda senza le sovrastrutture che ci sono state indicate fin dall’infanzia, e se così facendo partecipiamo anche solo in minima parte a un cambiamento non possiamo che esserne felici.

Edoardo: Noi stessi siamo corpi politici, e forse è addirittura una forma più autentica di attivismo quello che facciamo con le storie di Instagram, raccontando la nostra quotidianità di ragazzi che stanno insieme. È una possibilità che a noi è stata negata per tanto tempo e speriamo che questo esporci senza paure possa essere d’aiuto per persone magari più giovani di noi. Nell’intrattenimento l’attivismo passa per la rappresentazione di tutte le persone che compongono la nostra società, rappresentazione che in questo momento ancora non c’è.

Venite dalla provincia di Padova. Cosa vuol dire andare via? Cosa vi siete portati dietro e cosa avete lasciato?

Alberto: Penso che Milano mi dia una sicurezza che non ho trovato in altre città nel corso della vita. Purtroppo vedo un’evoluzione rapida in senso peggiorativo, nei mesi scorsi il dibattito sul Ddl Zan si è molto inasprito e il clima è meno rassicurante di quando siamo arrivati, due anni fa. Detto ciò è ancora il luogo in cui esco dalla porta e faccio un sospiro di sollievo, perché mi sembra di essere nel posto giusto. Per quanto riguarda la nostra regione d’origine, come dice Edoardo “puoi togliere una ragazza dal Veneto, ma non puoi togliere il Veneto dalla ragazza”. Ci abbiamo vissuto i primi vent’anni delle nostre vite, abbiamo famiglia, amici e affetti.

Edoardo: Dalla provincia di Venezia ci siamo portati di sicuro l’accento, ma anche molto del resto. Anzi, io vorrei proprio riappropriarmi di tutto, dare una nuova faccia a questa regione. Basta rappresentare i veneti come lavoratori zoticoni che pensano solo ai soldi, facciamo vedere il Veneto queer e col polso sciolto.

Ci libereremo mai dall’influenza degli anni Ottanta e Novanta?

Edoardo: Gli anni Ottanta e Novanta sono molto simili al luogo dei tuoi natali, ci sei cresciuto e ce li hai dentro. Come molti ho trascorso l’infanzia a contatto con mamma televisione che mi riempiva i pomeriggi. Oggi possiamo dire che c’è chi sa a memoria le poesie del Pascoli mentre noi conosciamo a memoria le coreografie di Non è la Rai e le sigle dei cartoni animati. Sono riferimenti che stanno sopiti da qualche parte, ma a un certo punto emergono, e adesso fanno parte della scatola dei giochi che poi utilizziamo per Rubrichette.

Alberto: In quegli anni siamo stati talmente tanto martellati dalla televisione che forse l’obiettivo era farci diventare degli automi. A parte gli scherzi, credo che i contenitori televisivi della nostra infanzia fossero costruiti appositamente per essere dei micro-mondi in cui entrare e sentirsi a proprio agio. Io ero un grande appassionato di sigle e avevo costretto i miei genitori a tenere pronta una cassetta su cui registrarle. Poi passavo ore a riguardarle all’infinito: tutta Raffaella Carrà, Beato tra le donne, Ciao Darwin...a posteriori per me avevano la stessa potenza dei titoli di testa della serie Game of Thrones. Chissà poi dov’è finita, la cassetta delle sigle.

Sappiamo che Alberto ha recentemente avviato un progetto di testimonianze di “nonne e nonni queer”, e che chiunque voglia partecipare può tuttora contattarlo sui suoi canali social...

Alberto: Tutto è partito per caso da un pensiero scritto su Twitter, e che lì per lì mi era sembrato banalissimo. Dicevo “chissà quanti dei nostri nonni appartengono alla comunità Lgbtq+ e non hanno mai avuto il coraggio di dirlo a nessuno”. Hanno iniziato ad arrivarmi talmente tante testimonianze che ho deciso di postarle nelle storie di Instagram, e più ne postavo più ne arrivavano di nuove. È come se si fossero aperte delle porte. Nella maggior parte dei casi sono testimonianze anonime riportate da nipoti e parenti giovani. Ora vorrei che tutto questo diventasse un podcast. Mi ha colpito in particolare una nonna ultra ottantenne, a cui ho proposto l’anonimato ma no, lei vuole parlare, la vede come una liberazione. È come se ti avessero tenuto nascosta per tutta la vita e all’improvviso, in un momento in cui non hai più molto da perdere, ti dessero un microfono per esprimerti. È a questo che ci riferiamo quando parliamo dell’importanza della rappresentazione, è un modo per far capire alle persone che ancora non lo accettano che l’omosessualità non è stata inventata adesso. Non è una moda, è che prima non avevamo voce, e c’è un’intera generazione di anziani che se ne sta andando senza aver potuto parlare.

Quali icone sognate di coinvolgere in una ideale puntata di Rubrichette?

Esclamano in coro: Il Gabibbo!

Edoardo: In realtà la risposta è contenuta nella primissima puntata di Rubrichette. Lì facciamo raccontare barzellette a Lady Gaga e Orietta Berti, perché lo spirito del nostro show è un po’ così. Un incrocio tra New York e Cavriago.

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