Storie da Gaza: “É come vivere su un altro pianeta”

clip_image003Gaza – Pchr. Il dottor Kamalian Sha’ath, presidente dell’Università Islamica di Gaza, è uno dei molti accademici impegnati a fornire istruzione superiore nella Striscia di Gaza. L’Università Islamica è stata una delle fonti per il report pubblicato dall’associazione Right to Enter, firmato da Ruhan Nagra e intitolato “Mondo accademico indebolito: le restrizioni israeliane all’ingresso di docenti stranieri nei Territori palestinesi occupati”.

Questo rapporto evidenzia come il blocco di Gaza non riguarda solo i materiali grezzi e la libertà di movimento delle persone, ma costituisce anche un blocco accademico, e che le prospettive di sviluppo accademico sono egualmente minacciate anche in Cisgiordania. Il rapporto si concentra su un’università di Gaza, l’Università Islamica, e su tre università della Cisgiordania: Birzeit, Bethlehem e al-Quds. In esso si afferma che il blocco è programmato per minare le prospettive dell’istruzione universitaria. Il dottor Kamalian si è dimostrato felice di poter parlare della battaglia in cui, assieme ai suoi colleghi, si sta impegnando allo scopo di migliorare la situazione accademica nella Striscia di Gaza.

Da quando Israele ha inasprito il blocco della Striscia di Gaza, nel 2007, le prospettive di scambio accademico con università straniere sono state pesantemente penalizzate. Israele attualmente, con una serie di motivazioni diverse, limita le possibilità, ai docenti internazionali, di intraprendere lettorati e ricerca nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania. Si va dalle “ragioni di sicurezza” all’emissione di visti che permettono un accesso di poche settimane soltanto, il cui risultato è l’isolamento degli accademici palestinesi e, indirettamente, l’impoverimento delle prospettive di un’istruzione superiore di qualità. Gli studenti hanno poche possibilità di conseguire un master, ed è disponibile un solo programma di post dottorato.

Il dottor Kamalian ci illustra come le università stiano tentando di arginare gli effetti degli ostacoli derivanti dal blocco imposto da Israele: “Quando aprimmo l’università, nel 1978, le forze di occupazione israeliane si trovavano ancora all’interno della Striscia di Gaza. La Striscia era divisa in 3 parti, attraverso le quali la libertà di movimento era limitata, con conseguenti difficoltà nell’insegnamento. Durante i primi anni insegnavamo sotto tende improvvisate, in quanto, ogni qual volta si tentava di costruire strutture per l’istruzione, Israele le distruggeva. Ricordo che una volta l’Unesco volle venire a visitare l’università, ma della numerosa delegazione solo a un membro fu permesso l’accesso a Gaza. Gli altri furono bloccati per “ragioni di sicurezza”. Da allora abbiamo fatto molta strada, e sono molto orgoglioso di tutto il lavoro che le persone qui hanno svolto, ma la lotta non è ancora terminata”.

Israele, inoltre, impone linee guida confuse riguardo la definizione di “docente straniero”. “Ci sono molti palestinesi considerati stranieri, e, pertanto, non ammessi a rientrare nella loro patria per  insegnare. Ad esempio, mio fratello durante la guerra del 1967 stava studiando in Egitto. Non essendo in Palestina al momento del conflitto, quando poi volle ritornare a casa non gli fu permesso, e da allora è stato definito, da Israele, ‘straniero’. E’ ridicolo pensare che Israele possa stabilire chi è palestinese e chi no. Le nostre carte d’identità ci vengono rilasciate da Israele!”

La Palestina ha un gran numero di palestinesi istruiti nati all’estero. Ad esempio, solo in Germania abbiamo alcune migliaia di medici. In molti hanno tentato di tornare qui a fare ricerca, o a prestare volontariato nei reparti chirurgici degli ospedali, ma alla maggior parte è stato vietato l’ingresso. Hanno un gran desiderio di tornare a casa a portare la loro conoscenza e la loro esperienza”.

Limitando il movimento tra i confini, Israele penalizza le istituzioni accademiche nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania. “Le università sono come le persone”, continua il dottor Kamalian: “Hanno bisogno di interagire, di socializzare e di raggiungere le loro potenzialità. Senza ciò, non sono nulla. A causa del blocco ci manca ciò che molti altri danno per scontato, l’interazione con diverse scuole di pensiero. E’ come vivere su un altro pianeta! Abbiamo un solo programma di dottorato, sullo studio degli Hadith. Seppur orgogliosi delle capacità linguistiche dei nostri studenti, avremmo bisogno di qualcuno con un post dottorato che sappia insegnare bene l’inglese. E lo stesso vale per diverse altre materie”.

“Abbiamo trovato una nostra soluzione”, dice il dottor Kamalian con una risatina. “Ciascun corso ha due video-conferenze per trimestre con università straniere, e ciò si è rivelato molto efficace. Ma il blocco continua a causare incredibili difficoltà. Ad esempio, per potermi incontrare con i miei ex colleghi dell’università Najah, in Cisgiordania, dobbiamo tutti viaggiare in Italia per poter tenere conferenze. Questo è pazzesco se si pensa che mi basterebbero 90 minuti per arrivare a Nablus (luogo in cui l’si trova l’università di Najah). E invece, tutti in Italia!”

L’università islamica di Gaza conta 21 mila studenti, il che dimostra la grande richiesta di istruzione universitaria. Alla domanda riguardo il maggior ostacolo alle opportunità di studio degli studenti, il dottor Kamalian risponde che sia il blocco di Gaza che le offensive israeliane hanno un grande impatto negativo. “Ma ciò che più ci penalizza è il blocco. I miei studenti ed io condividiamo un forte desiderio di ‘internazionalizzazione’. Nel mondo accademico è fondamentale incontrare scuole di pensiero differenti, per migliorarsi e per migliorare le tecniche didattiche”.

L’istruzione universitaria nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania è poi fortemente penalizzata durante le intensificazioni militari. “Tutte le università sono state fatte chiudere da Israele durante l’intera durata della Prima intifada. Per 4 anni abbiamo tenuto i corsi nelle moschee, nelle case, ovunque si trovassero gli spazi. Nel corso delle ultime due offensive su Gaza, Israele ha ripetutamente colpito le infrastrutture civili dell’intera regione – strade, scuole, ospedali, e anche la nostra università. La nostra Facoltà di Scienze è andata completamente distrutta in un attacco aereo nel 2008: in pochi minuti sono andate distrutte ricerche svolte nel corso di 30 anni di studi, così come l’attrezzatura di facoltà. Oggi, uno dei due edifici è ancora in fase di costruzione, e gli studenti continuano ad essere ospitati presso altre università di Gaza”.

“Le università ne risentono sia in Cisgiordania che a Gaza, ma a Gaza maggiormente, in quanto siamo completamente tagliati fuori. Inoltre, i docenti internazionali sono scoraggiati da diversi fattori: dal visto limitato ma anche da un possibile e non provocato attacco israeliano, che può terrorizzare chi non è cresciuto in una zona di guerra”.

Poiché il livello di disoccupazione nella Striscia di Gaza raggiunge il 40%, le prospettive di lavoro di un laureato sono anche molto scarse. “L’informatica è il settore in cui i nostri studenti hanno ottenuto migliori risultati dopo la laurea. Ma la disoccupazione è una questione seria che va affrontata al più presto”.

Con un sorriso, il dottor Kamalian aggiunge: “La vita continua. La lotta continuerà. Speriamo che Israele ceda presto alle pressioni internazionali ed elimini il blocco, in modo che la vita qui possa tornare alla normalità. Se ciò non accadrà, continueremo come abbiamo sempre fatto”.

In base al diritto internazionale, l’articolo 26 della Dichiarazione universale dei diritti umani e l’articolo 13 del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (Icescr) riconoscono il diritto di ognuno a un’istruzione. Secondo l’articolo 13.1 dell’Icescr tale diritto è finalizzato al “pieno sviluppo della personalità umana e alla sua dignità”, e a permettere una partecipazione sociale attiva. Il Comitato sui diritti economici, sociali e culturali (Cescr) ha stabilito in un incontro tenutosi l’8 dicembre 1999 che l’istruzione è sia un diritto umano che “uno strumento indispensabile per comprendere altri diritti umani”.

L’articolo 12 del Patto internazionale sui diritti politici e civili, del 1966, garantisce poi che “ognuno dev’essere libero di poter lasciare qualsiasi Paese, incluso il proprio, e che nessuno debba essere arbitrariamente privato del diritto di entrare nel proprio Paese”. Ciò comprende il diritto di viaggiare per motivi di studio, sia come studente che come docente. Inoltre, secondo il Comitato delle Nazioni Unite sui diritti umani (Commento generale n.27), “il diritto di una persona ad entrare nel proprio Paese riconosce il rapporto speciale della persona con quel determinato Paese”. Inoltre, secondo il Tribunale di giustizia internazionale, a coloro che hanno un reale ed effettivo rapporto con un Paese, come la residenza abituale, l’identità culturale e i vincoli familiari, non può essere negato il ritorno.

La distruzione dell’edificio delle facoltà di medicina, ingegneria e scienze dell’Università islamica, avvenuta nel 2008, costituisce una violazione dell’articolo 53 della Quarta convenzione di Ginevra, che stabilisce che la distruzione di una proprietà privata è vietata, a meno che le operazioni militari non la rendano assolutamente necessaria. Inoltre, in base al secondo paragrafo dell’articolo 8 (b)(i) “l’attacco intenzionale contro obiettivi civili, ovverosia contro obiettivi non militari” costituisce crimine di guerra.

Infine, il blocco di Gaza imposto da Israele rappresenta una forma di punizione collettiva, che viola l’articolo 33 della Quarta convenzione di Ginevra. Infliggere grandi sofferenze sulla popolazione di Gaza, costituisce anche crimine di guerra, per il quale la leadership politica e quella militare israeliane sono criminalmente e individualmente responsabili.

Traduzione per InfoPal a cura di Stefano Di Felice