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Cattolica Library
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Jérôme Lejeune, una vita per la vita
Dino Moltisanti *  |  3 marzo 2021

È stata accolta con gioia anche dalla comunità accademica dell’Università Cattolica l’autorizzazione di Papa Francesco al decreto della Congregazione per la Dottrina della Fede che riconosce "Venerabile" Jérôme Lejeune, genetista di fama mondiale e primo Presidente della Pontificia Accademia per la Vita, istituita da Papa Giovanni Paolo II nel 1994.
Il medico e scienziato francese, che scoprì l’anomalia genetica alla base della Sindrome di Down, si è distinto non solo per le sue straordinarie capacità scientifiche, ma anche per l’appassionata difesa della vita umana in tutte le sue condizioni (con il conseguente rifiuto, in modo particolare, dell’aborto volontario, specialmente di tipo eugenetico).

Le Biblioteche dell'Università Cattolica conservano due importanti volumi del professor Lejeune (L'embrione segno di contraddizione e Il messaggio della vita), ma anche testi a lui dedicati tra cui si segnalano Il professor Lejeune fondatore della genetica moderna e La vita è una sfida, scritto dalla figlia Clara.
 

copertina  Il messaggio della vita.jpg

 

 

 

Copertina libro Il professor Lejeune fondatore della genetica moderna

 

 

 

Copertina libro "La vita è una sfida" 

Per ricordare la sua figura, abbiamo chiesto aiuto a Marina Casini, Ricercatrice in Bioetica presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia della nostra Università e Presidente del Movimento per la Vita italiano.

Professoressa Casini, se dovesse descrivere in poche battute l’opera di Jérôme Lejeune, cosa metterebbe in evidenza?
Il coraggio, la coerenza, l’amore per la vita umana del medico e dell’uomo Lejeune. La sua è stata un’opera grandiosa sia in termini scientifici che umani. Tanto per cominciare, grazie alla sua passione per lo studio della medicina e alla sua intelligenza ha liberato da un pesante stigma sociale le persone colpite da quella che lui stesso ha individuato come "trisomia 21", da una subcultura che le relegava ai margini della comunità degli uomini. Ha liberato anche le loro famiglie dal sospetto e dal pregiudizio dovuto alle false cause di "quella malattia". Ma Lejeune, mettendo a repentaglio la sua carriera e giocandosi il Premio Nobel, ha pure continuato a proteggere la piena dignità dei suoi piccoli pazienti nella fase della vita che precede la nascita, quando una cultura antisolidaristica rivendicava la legge sull’aborto come conquista civile. La sua opera continua grazie alla Fondazione che a Parigi porta il suo nome.

Sappiamo che la sua conoscenza del professor Lejeune non deriva solo dallo studio delle pubblicazioni, ma anche da una esperienza più o meno diretta di lui e della sua famiglia.
Sì, mio padre conosceva bene Jérôme Lejeune, come testimonia il recente libro di Paola Binetti Ricordando Carlo Casini, amico e maestro. Pur avendo storie diverse ed essendo di nazionalità e professione diverse, avevano molti aspetti in comune legati alla difesa della vita nascente; si stimavano reciprocamente. Certamente mio padre ammirava molto Lejeune, alla cui memoria ha destinato il premio europeo "Madre Teresa di Calcutta" nel 2008, ed è stato proprio lui a presentarmelo alla fine del 1988 in occasione di un convegno in Vaticano. Rimasi attratta dai suoi occhi e dal suo sguardo così limpido e profondo. Ho conosciuto la moglie, nata al Cielo lo scorso anno, e i miei genitori sono stati ospiti da lei a Parigi. Una bella e grande famiglia. Sono in contatto con la figlia Clara (i figli dei coniugi Lejeune sono cinque) e da ciò che mi racconta emerge il ritratto di un uomo veramente speciale.

Come ricordare e rilanciare il messaggio di Lejeune in una società come quella attuale, in cui tanto c’è da lavorare sull’accettazione della disabilità e della malattia come non compromettenti la dignità di ogni essere umano?
Agganciando l’impegno al tema dell’uguaglianza e della solidarietà. Con franchezza e amore, cercando la collaborazione con tutti. Con determinazione e semplicità, perché la verità è semplice. Lejeune ovunque andasse ripeteva che «il piccolo d’uomo è un uomo piccolo» e che «a man is a man» e così parlava del principio di uguaglianza tra tutti gli uomini, e dunque anche tra i nati e i non ancora nati. Il progresso si misura sulla forza espansiva ed inclusiva della dignità umana. Perciò, l’accoglienza e la cura dei più fragili – compresi i disabili e i malati, prima o dopo la nascita – è davvero il segnale di una società più giusta, più umana, più civile, più solidale. Certamente vanno messi in conto tempo molto lunghi, i salti di civiltà non avvengono da un momento all’altro, ma sono preparati da uomini e donne che nel corso dei decenni e talvolta dei secoli (si pensi all’abolizione della schiavitù) hanno lottato, seminato, sensibilizzato, speso la propria stessa vita. Ma occorre avere fiducia e coraggio. Non si tratta di guardare al passato, ma di costruire il futuro.

Tra i tanti discorsi o scritti di Lejeune, ce ne è uno che ricorda in modo particolare e che vuole condividere con i nostri lettori?
Ne potrei citare diversi, ma al Meeting di Rimini nel 1990 Lejeune rifletté in modo mirabile sui doni dello Spirito Santo, ponendoli sotto la luce del meraviglioso inizio della vita umana e del dovere di proteggerla anche quando afflitta dalla malattia. Disse: «Quelli che hanno liberato l’umanità dalla peste e dalla rabbia non furono quelli che bruciavano gli appestati nelle loro case e soffocavano i rabbiosi, ma quelli che hanno combattuto la rabbia e la peste, ponendosi a servizio dei malati». Una lezione ancora, per molti versi, da imparare.
 

 

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* Responsabile della Segreteria Scientifica e Organizzativa della sezione di Roma del Centro di Ateneo di Bioetica e Scienze della Vita.

 
 
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