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Cattolica Library
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Futurismo in Biblioteca/2: le Carte Farfa
Paolo Senna  |  22 settembre 2021

Nello scorso numero di Cattolica Library è stato iniziato un ideale percorso attraverso le collezioni futuriste possedute dalla Biblioteca di Milano, presentando alcuni documenti dell’Archivio Acquaviva. Il viaggio oggi prosegue con una seconda tappa dedicata a un ulteriore gruppo di documenti del Secondo Futurismo, conservati negli Archivi Culturali della sede milanese, facenti capo a Farfa, pseudonimo di Vittorio Osvaldo Tommasini, che fu attivo come poeta, ceramista, fotografo e cartellonista.

Nato a Trieste nel 1881, di umili origini, Farfa si adattò in gioventù a svolgere diversi lavori (spedizioniere, operaio, usciere in una banca), specie dopo la morte del padre sopraggiunta nel 1901. Pubblicò la prima poesia nel 1906 su “L’Araldo”, un periodico stampato a Riva del Garda, ma al di là di questi primi tentativi letterari, fu l’incontro col Futurismo a segnare indelebilmente l’esistenza del giovane Vittorio. Dopo la Prima guerra mondiale si trasferì a Torino, città dove conobbe Filippo Tommaso Marinetti e il suo movimento in occasione dell’Esposizione internazionale futurista del 1922. In quegli anni si inserì nelle file del gruppo futurista torinese – fondato da Luigi Colombo, in arte Fillia (1904-1936), e Tullio A. Bracci nel 1923 – assumendo definitivamente il nome di Farfa. Da subito la sua fama crebbe in seno al movimento futurista, sia come poeta – come attesta l’ampio spazio da lui occupato nell’antologia I nuovi poeti futuristi (Roma, Edizioni futuriste di “Poesia”, 1925) – sia come artista, esponendo in diverse mostre a Torino, a Roma e a Milano. Entrato in contatto con Fortunato Depero, iniziò in questo periodo anche una apprezzata attività di cartellonista e di fotografo.

Alla fine degli anni Venti si trasferì a Savona dove divenne il punto di riferimento dei futuristi locali e contribuì con Tullio Mazzotti alla fondazione della ceramica futurista ad Albisola, fungendo da autorevole trait d’union tra i futuristi liguri, quelli milanesi e quelli torinesi. Farfa fu dunque una figura chiave del Secondo Futurismo, al punto che negli anni Trenta raggiunse il culmine della sua fama vincendo la gara indetta da Marinetti per un testo in memoria di Antonio Sant’Elia, il celebre architetto futurista caduto in guerra nel 1916. Con la sua poesia Sant’Architettura fu incoronato con il “casco d’alluminio”, segno della sua vittoria nel circuito poetico futurista. Da allora divenne noto come «Farfa, poeta record». Nel 1935 pubblicò Il poema del candore negro (Milano, La Prora) evocando nelle sue liriche il jazz e la musica nera che si fanno tutt’uno con la danza, nel segno della spontaneità espressiva.
Ricorda Luigi Caldanzano (1921-2008), anch’egli artista savonese: «Faceva versi partendo da qualunque cosa che vedeva: un gesto, una parola, un fatto. […] Farfa teneva in cantina sei o sette sacchi (sacchi da carbone, da quintale) pieni di poesiole scritte su pezzi di carta grandi come foglietti di calendario. Annaviva [Anna Maria Traverso] aveva comperato un quaderno da cento lire e, dopo aver preso con pazienza i fogliettini, li aveva incollati tutti, cercando di dar loro un ordine. Alcune poesie erano di quattro o cinque versi, non di più. Farfa non voleva. Un bel giorno ci ha fatto trovare il quaderno tutto strappato ed i foglietti rifilati di nuovo nei sacchi, poiché la scelta, così diceva, non era come la desiderava lui».[1]

Le Carte Farfa conservate presso gli Archivi Culturali della Biblioteca della sede di Milano raccolgono 35 documenti, quasi tutti di natura epistolare. Sono molti gli esponenti futuristi rappresentati: da Torino gli scrive Angelo Maino nel gennaio 1926 per dargli delle comunicazioni letterarie e personali; ancora dalla città pedemontana, nel 1932, Della Chiesa, Fillia, Mino Rosso e Pippo Oriani rivelano: «Fillia ed io [Della Chiesa] avremmo intenzione di scrivere una rivista teatrale con la tua collaborazione, messa in scena da Oriani e Mino Rosso»; Ruggero Vasari spedisce una cartolina da Berlino il 2 marzo 1936 deprecando la perdita dei «migliori traduttori tedeschi di poeti futuristi. Sono desolato perché ora non so a chi affidare le traduzioni di così difficili poemi»; e ancora Giovanni Acquaviva, nel 1945, invita Farfa alla sua mostra L’Aratura e Il Sentiero dell’Universo utilizzando il volantino dell’esposizione. Nel fascicolo vi sono anche il manifesto Italiani liberatevi dalle abitudini inglesi con invio e firma autografa di Marinetti (del 1935) e alcune poesie dattiloscritte e manoscritte di Farfa.

L’attività di Farfa non si concluse, come è accaduto ad alcuni esponenti del movimento, con la Seconda guerra mondiale e con l’esaurirsi del cosiddetto Secondo Futurismo. Quando negli anni Cinquanta anche in Italia giunsero le nuove esperienze artistiche europee legate alle avanguardie storiche del dadaismo e del surrealismo, Farfa visse, si può dire, una seconda giovinezza. Divenne intimo amico di Enrico Baj, uno dei maestri dell’arte contemporanea, e tornò ad esporre le sue opere pittoriche presso diverse gallerie, tra cui la Galleria Blu di Milano e la Galleria Schwarz. Le Carte Farfa conservano anche undici lettere di Arturo Schwarz dal 1961 al 1963 relative a questioni commerciali e all’organizzazione di una mostra.

Un autore poliedrico, dunque, le cui poesie non cessano di essere riprese con ristampe e nuovi accessi critici: nel 2005 è stato ristampato Ovabere. Sincopatie futuriste da San Marco dei Giustiniani; nel 2009 Viennepierre ha riproposto il Poema del candore negro; e pochi mesi fa la Libreria Pontremoli di Milano ha pubblicato in edizione numerata un manoscritto inedito di Tuberie, la poesia più rappresentativa di Farfa: segno che le carte d’archivio possono contribuire a suscitare nuove ricerche e nuovi percorsi di indagine.

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Note:

[1] Luigi Caldanzano, Il catturatore d’immagini, in Farfa a Barile, a cura di Giovanni Farris, Savona, Sabatelli, 1979, pp. 50 e 52. L’articolo di Caldanzano è ricco di aneddoti sulla vita di Farfa.

 
 
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