17 luglio 2022 - 18:46

Il trapianto di fegato tutto al femminile: «Qui medici e chirurghi sono uniti»

L’equipe guidata dal prof Cescon è ora composta al 50% da donne: 64 interventi fatti finora

di Marina Amaduzzi

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(Archivio)
(Archivio)

L’ultimo, in ordine di tempo, è stato venerdì della scorsa settimana. Attorno al tavolo operatorio del Sant’Orsola si sono trovate solo donne, tre chirurghe e una specializzanda per eseguire un trapianto di fegato. Di per sé la presenza delle donne nella chirurgia non è più una notizia, lo diventa però in un settore più complesso e impegnativo come quello dei trapianti,fino a non tanto tempo fa regno incontrastato degli uomini.

L’ultima operazione

«Quello è stato solo l’ultimo trapianto “in rosa” — spiega Chiara Zanfi, una delle chirurghe che era in sala lo scorso 8 luglio —, quando arriva un organo si preparano le persone reperibili e quel giorno c’eravamo noi». Zanfi fa parte dell’equipe della Chirurgia epatobiliare e dei trapianti diretta dal professor Matteo Cescon, «dove sono tutti molto comprensivi, anche quando una di noi, com’è stato il mio caso, si trova prima a gestire una gravidanza e poi la maternità», prosegue. Un reparto innovativo anche per essere tra i pochi casi in Italia, se non l’unico, in cui l’equipe medica di epatologi lavora insieme a quella dei chirurghi. «È stata una mia idea – ammette Cristina Morelli, direttrice della Medicina interna per il trattamento delle gravi insufficienze d’organo —, nasce dalla mia volontà nel ‘99 di occuparmi di trapianti a 360 gradi , quindi come medico epatologo mi trasferii nel reparto di Chirurgia , poi si formò un gruppo misto di medici e chirurghi divenuta poi l’intera equipe. Tra i medici ci sono 6 donne su 10, mentre tra i chirurghi diretti da Cescon le donne sono al 50%. Questo aspetto non deve più stupire, altrimenti ci considereremmo dei Panda, la presenza femminile è ormai consolidata sia nell’attività di assistenza che in quella della ricerca». Ciò che stupisce non è quindi tanto la presenza in maggioranza di donne in un’equipe medico-chirurgica, quanto il lavorare in un settore impegnativo come quello dei trapianti.

Equilibrio e passione

«È un campo molto particolare — spiega infatti Zanfi —, che richiede un impegno estremo e conciliare la famiglia con il lavoro è difficile». Non è facile conciliare le tantissime ore in sala operatoria quando arriva un organo da trapiantare con la gestione di una famiglia e dei figli. «È la passione che ci guida», racconta Zanfi, originaria di Sassuolo, sposata, con due bambine di cui una di un anno. «Ho iniziato l’Università a Modena con il professor Pinna — ricorda —, quando lui è venuto al Sant’Orsola l’ho seguito, ho concluso qui ilo mio percorso universitario e ho fatto la specializzazione. Non mi sono più mossa. Il mio primo approccio con la chirurgia è stato con i trapianti e ho proseguito. Sono rientrata ora dalla seconda maternità e non è facile. Mi ritengo fortunata perché abbiamo colleghi molto comprensivi, certo è che questo lavoro impegna tante ore, uno sforzo fisico e mentale per noi donne pari a quello dell’uomo, poi le donne hanno più cose da conciliare. Se c’è la passione e l’ambiente lavorativo è comprensivo allora si creano le condizioni per lavorare al meglio anche con figli e famiglia». «Forse c’è anche un modo diverso di affrontare il percorso lavorativo da parte delle donne — aggiunge Morelli —, le donne fanno figli e vanno in sala a fare un trapianto come se fosse una cosa normale. Inoltre portano una visione più olistica nel lavoro, capace di una visione più ampia, prendendosi in carico il paziente in tutte le sue sfumature».

Donne di successo

Ovviamente non solo nel percorso del trapianto di fegato è aumentata la presenza delle donne. Solo al Sant’Orsola, ci sono chirurghe impegnate sul rene, sul cuore e sul cuore pediatrico. «La comunità del policlinico ha superato questo problema, le donne sono inserite in posti di altissima responsabilità clinica», sottolinea Morelli. Fino ad oggi sono stati 64 i trapianti di fegato eseguiti al Sant’Orsola., un trend in aumento grazie all’aumento delle donazioni d’organo. «Stanno aumentando i donatori Dcd, a cuore fermo, che fino a due anni fa non si utilizzavano — conclude Morelli —, ora si riducono i danni ischemici con tecniche rianimatorie e di perfusione degli organi innovative. E stanno aumentando i consensi alle donazioni, un segnale che la rete donativa dell’Emilia-Romagna funziona bene».


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