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Cattolica Library
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Bisagno, l'indimenticabile Resistenza di un giovane cristiano
Luca Losito  |  13 aprile 2021

L'anniversario della Liberazione ricorre quest'anno in un momento per certi versi analogo alla situazione italiana alla fine del 1945: ora come allora, la speranza concreta di superare definitivamente un periodo drammatico per il Paese è accompagnata da aneliti di rigenerazione civile che prefigurano una riorganizzazione della società italiana su basi nuove, più solide e più giuste.
In un simile contesto, può essere utile conoscere più da vicino le esperienze più mature e luminose di resistenza e ricostruzione che l'Italia già visse alla fine della tragica Seconda guerra mondiale, quando con dedizione e sacrifici ammirevoli molti giovani furono protagonisti di un nuovo inizio per la loro patria.

La disponibilità nel Catalogo d'Ateneo del documentario Bisagno è certamente un'opportunità preziosa per riscoprire – o scoprire per la prima volta – la figura straordinaria di uno di questi giovani, Aldo Gastaldi ("Bisagno"), che dal 1943 fino alla morte nel 1945 animò da cristiano l'attività partigiana nell'entroterra genovese. Un ragazzo di ventidue anni, sottotenente del 15° Reggimento Genio a Chiavari, salito subito dopo l'8 settembre in montagna, dove nel giro di pochi mesi divenne la figura più amata della Resistenza in Liguria per le capacità militari, ma soprattutto per la generosità e il senso supremo della libertà. Un ragazzo che seppe anche far rispettare dai suoi partigiani un rigoroso codice comportamentale – ammirevole in quei tempi di guerra – come il cosiddetto "codice di Cichero": «in attività e nelle operazioni si eseguono gli ordini dei comandanti, ci sarà poi sempre un'assemblea per discuterne la condotta; il capo viene eletto dai compagni, è il primo nelle azioni più pericolose, l'ultimo nel ricevere il cibo e il vestiario, gli spetta il turno di guardia più faticoso; alla popolazione contadina si chiede, non si prende, e possibilmente si paga o si ricambia quel che si riceve; non si importunano le donne; non si bestemmia».[1]

Ora, mentre a Genova continua ad essere ricordato come "primo partigiano d'Italia", è stata per lui avviata nel 2019 anche una causa di beatificazione.[2]



Il documentario, già presentato in anteprima nazionale nel 2015 nella sede milanese dell'Università Cattolica, è stato ampiamente apprezzato per la sua capacità di far rivivere "Bisagno" senza retorica, illuminato semplicemente dalle immagini d'epoca, dai documenti a sua firma[3] e dalle testimonianze in viva voce di partigiani che furono con lui, come Gino Botto ("Blek"), Dino Lunetti ("Caronte"), Claudio Floris ("Bill"), Luigi Ferrea ("Mando"), Attilio Mistura ("Bisturi"), Silvio Fontanelli ("Nutti") e tanti altri: uomini oggi molto anziani, diversi dei quali hanno ricordato il loro giovane comandante ancora visibilmente commossi.
Quest'opera ha dunque il merito di facilitare, grazie anche alla forza del mezzo audiovisivo, la conoscenza di una figura di grande carisma che molto può ancora trasmettere alle generazioni più giovani, attese come quelle di 76 anni fa a contribuire in modo determinante alla ripresa del Paese. Nel volume che accompagna il dvd del documentario, così ha spiegato la professoressa Maria Bocci:

Ben nota a Genova e in Liguria, l'avventura di Bisagno non ha trovato lo spazio che merita nella mitologia resistenziale. Eppure non è stata affatto marginale; ha anzi incarnato in modo particolarmente vivido e fecondo un modo di 'resistere' che ha segnato non solo le prime fasi della Resistenza e che le ha ottenuto i consensi e gli appoggi, anche molto concreti, dalla popolazione. Con Bisagno, si potrebbe dire, la patria non è morta […]. C'è però dell'altro in questo modo di essere e di combattere per l'Italia e per la libertà, c'è qualcosa che contribuisce a rendere Bisagno affascinante […]: Aldo Gastaldi interpreta il suo ruolo di comando non come potere, ma come servizio; è e rimane generoso, ed è difficile continuare ad esserlo quando il cibo scarseggia, le condizioni di vita si fanno terribili, e per di più occorre combattere un nemico con le armi in pugno, in un contesto di guerra civile tra italiani, che Bisagno non vorrebbe […]. Insomma, la sua è una figura eccezionale, per la statura umana e cristiana che dimostra e che ne fa un autentico testimone. In Bisagno c'è la capacità di coniugare impegno civile e tensione religiosa, in una sintesi particolarmente significativa che svela tratti davvero belli del fenomeno resistenziale.[4]

La storia stessa di questo documentario, sviluppato nel tempo lungo un percorso sempre più coinvolgente e sorprendente, sembra rappresentare quasi un augurio speciale – e un invito – agli studenti dell'Ateneo; è una storia suggestiva, iniziata nelle aule di un'università (quella di Genova) con l'amicizia tra due giovani, il nipote omonimo di Aldo Gastaldi e l'autore Marco Gandolfo, che così l'ha ripercorsa: 

Frequentando casa Gastaldi ebbi l'opportunità di scoprirne il volto nelle numerose foto appese alle pareti da cui un giovanotto col pizzetto mi guardava sicuro. In casa ne parlavano con venerazione. Giacomo Gastaldi, il padre del mio nuovo amico, era fratello di Bisagno. Da qualche racconto cominciai a intuire che c'era stata una Resistenza diversa da quella che avevo studiato a scuola […] per decenni aveva raccolto documenti, fotografie e testimonianze per far luce sulla vita del fratello durante i mesi della lotta di liberazione, un archivio gelosamente custodito che chiedeva di essere fatto conoscere […]. Visto che il tema resistenziale era delicato decisi di non chiedere finanziamenti per essere libero da qualsiasi condizionamento politico. […] proseguendo a incontrare i superstiti mi ritrovai davanti a persone, ormai novantenni, che mi rivelavano con le parole e con gli occhi come la loro vita fosse stata segnata per sempre dall'incontro con Aldo […] scoprivo come Aldo, a soli ventidue anni, fosse stato un padre per quei suoi coetanei, una casa costruita sulla roccia a cui guardare nei momenti di sconforto e paura. Uno che ti guardava dentro, rivelando te a te stesso […]. La sua serietà e il suo desiderio di impegnarsi in tutte le cose della vita mi conquistavano e mi spronavano a fare altrettanto, a cercare di non buttare via nemmeno un minuto. Mi stava accadendo quel che settant'anni prima era accaduto ai suoi partigiani: ora anch'io desideravo essere come lui, un uomo nel senso più pieno del termine.
[…] ci ritrovammo a chiudere il film a inizio 2015 […]. Sì, il documentario era finito, ma non i doni che portava con sé. Me ne accorsi già alla prima assoluta del film, tenutasi in Università Cattolica il 29 aprile del 2015. Me ne accorsi dagli occhi degli spettatori e dalle e-mail che iniziarono ad arrivare. Ma questa storia, ora, è la vostra storia.[5]

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Note:

[1] P. Taviani, Furor bellicus, FrancoAngeli, p. 13.

[2] Cfr. la notizia nel sito www.chiesadigenova.it

[3] I documenti utilizzati nel documentario provengono soprattutto dall'Archivio privato della famiglia Gastaldi e dall'Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza. Per ulteriori informazioni si veda in www.bisagnofilm.com.

[4] Bisagno: la Resistenza di Aldo Gastaldi, a cura di Marco Gandolfo, Itaca, 2018, pp. 47-48.

[5] Ivi, pp. 69-76.


* Per l'immagine in testata: the original uploader was Cosmin latan at Italian Wikipedia., CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons

 
 
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