Per lo scrittore della Trilogia dell’Altipiano il legame con la terra d'origine e con il suo ambiente naturale è un tema di massima importanza. Questa affinità di luoghi e memorie radicate in un preciso paesaggio lo avvicina a un altro grande scrittore veneto, Andrea Zanzotto (1921-2011), di cui ricorre quest’anno il decennale della scomparsa, in significativa concomitanza con il centenario della nascita per Rigoni Stern. I due furono infatti uniti da un lungo sodalizio umano ed intellettuale, accomunati soprattutto da un rapporto quasi ancestrale con la propria terra: anche nella scrittura poetica di Zanzotto, a partire dal suo Dietro il paesaggio (Mondadori 1951) si avverte questo decisivo senso di radicamento in un mondo naturale ancora capace di custodire il soggetto come terra delle origini, patria, "heimat": «Perché siamo al di qua delle alpi / su questa piccola balza / perché siamo cresciuti tra l’erba di novembre / ci scalda il sole sulla porta / mamma e figlio sulla porta / noi con gli occhi che il gelo ha consacrati / a vedere tanta luce ed erba»[1]. Si tratta certamente di autori ben diversi sul piano dello stile e della lingua, ma è interessante vedere come il poeta di Pieve di Soligo abbia voluto mettere in rilievo i profondi legami con il narratore di Asiago, dedicandogli uno dei suoi illuminanti scritti sulla letteratura: «Mario Rigoni Stern è sempre stato in primo piano nella mia esperienza segreta letteraria. Perché io passo per contorto, oscuro, difficile, complicato… Mentre lui è evidentemente limpido. Può darsi che io sia contorto, oscuro a me stesso e agli altri, ma un’affinità profonda c’è sempre stata tra noi due umanamente e, in fin dei conti, fors’anche nel nostro lavoro».[2] Così, è sempre Zanzotto a disvelare nell’odissea del contadino Tönle Bintarn il senso profondo della scrittura di Rigoni Stern. Anche quest'ultimo, come accade ai grandi scrittori, è riuscito a dare voce attraverso l’epopea di Tönle al destino di un’umanità intera coinvolta nei grandi eventi della Storia: «in Tönle passa comunque tutta l’esperienza di Rigoni Stern e tutta l’esperienza di un gruppo, passa un “noi”. Si tratta di una memoria sottesa da quel carattere “utopico” che le consente di trasfigurarsi e di diventare anche proiezione verso un futuro».[3] Le drammatiche esperienze vissute personalmente nelle steppe russe e nei lager tedeschi avvicinano Mario Rigoni Stern anche a due altri grandi protagonisti della letteratura italiana, che nel dopoguerra hanno creato opere fondamentali per trasmettere alle future generazioni la memoria preziosa di quanto accaduto e vissuto nel fuoco della Seconda guerra mondiale: Nuto Revelli e Primo Levi. Nel racconto Primo Levi, moderna odissea che compare nel libro Aspettando l’alba e altri racconti Rigoni Stern riporta infatti un significativo brano della prima lettera a lui spedita, nel 1962, dallo scrittore e chimico torinese: «…non so se lei conosce il mio nome: sono come lei un non-letterato che ha visto delle cose e le ha scritte» (da qui ebbe inizio una fraterna amicizia)».[4] Le comuni esperienze vissute durante la guerra (la prigionia nel lager con il primo e la ritirata di Russia con il secondo) e raccontate dallo scrittore di Asiago in opere come Il sergente nella neve, Ritorno sul Don e Amore di confine, insieme alle molte somiglianze e alle comuni sensibilità (l’amore per la montagna e l’alpinismo, la passione per gli stessi libri, gli stessi autori, le stesse storie), hanno dato vita e consistenza a un’amicizia profonda, testimoniata da lettere, dediche, riconoscimenti, poesie e tributi reciproci. Come evidenziato da Giuseppe Mendicino in Mario Rigoni Stern. Un ritratto[5], tra le diverse espressioni letterarie che danno voce a tale comunanza di valori e di vissuti spicca la poesia di Levi A Mario e a Nuto, riportata in una lettera inviata a Rigoni Stern nel 1984. |