DISCHI DI DETRITI, IL GAS È DA COLLISIONI

Indagine sul carbonio nel Pittore e nella Balena

Osservando le righe del carbonio nelle nubi di detriti che circondano due giovani stelle, Beta Pictoris e 49 Ceti, un team di astrofisici giapponesi ha trovato indizi sull’evoluzione dei dischi protoplanetari. Lo studio su Astrophysical Journal Letters

     12/04/2017

Rappresentazione artistica del processo di produzione di gas dalla collisione tra oggetti in un disco di detriti. Crediti: Riken

Per una volta partiamo dalla fine. E non preoccupatevi, non vi roviniamo troppo la suspense, visto che si tratta d’una conclusione interessante, certo, ma non così emozionante: il gas presente nei dischi di detriti che avvolgono molte stelle giovani e anche alcune di mezza età – dischi come la nube di Oort, alla periferia del Sistema solare – non è gas primordiale, bensì l’esito di processi, tipicamente collisioni, che avvengono nei dischi stessi.

Detto altrimenti, i detriti si scontrano, e l’impatto produce gas, lo stesso osservato nel corso di recenti osservazioni in banda radio. Una conclusione, dicevamo, forse non così eclatante ma di grande importanza per chi studia i meccanismi di formazione dei sistemi planetari, ed è incerto fra le due ipotesi sull’origine del gas: primordiale o, appunto, secondaria, come indicano le osservazioni compiute tra il settembre e l’ottobre del 2016 con il telescopio da 10 metri Aste (Atacama Submillimeter Telescope Experiment) e riportate in uno studio, pubblicato oggi su Astrophysical Journal Letters, condotto dagli scienziati del Riken Star and Planet Formation Laboratory giapponese.

Una conclusione alla quale il team del Riken, guidato dalla ricercatrice Aya Higuchi, è giunto al termine di un’indagine avvincente. Proviamo a ripercorrerne le tappe principali. La pista che hanno seguito è quella lasciata sugli spettri di due giovani stelle – Beta Pictoris e 49 Ceti, rispettivamente a 63 e 194 anni luce da noi nelle costellazioni del Pittore e della Balena – dalle righe d’emissione dell’atomo del carbonio. Il carbonio è solito presentarsi nei dischi di detriti in forma molecolare, perlopiù associato all’ossigeno a formare molecole di CO, il monossido di carbonio. Molecole che la radiazione ultravioletta proveniente dalla stella al centro del disco riesce a scindere, lasciando così gli atomi di carbonio liberi. A loro volta, questi atomi di carbonio dissociati possono ricombinarsi in monossido di carbonio, questa volta però tramite una reazione chimica che richiede la presenza di idrogeno. Se l’idrogeno manca, il carbonio dissociato rimane allo stato atomico. Ed è così che i ricercatori del Riken lo hanno rinvenuto.

«Ci ha sorpreso trovare, nel corso della prima osservazione a lunghezze d’onda sub-millimetriche, carbonio atomico nel disco. Ma siamo rimasti ancor più sorpresi nel constatare quanto ce n’era: in quantità paragonabile a quella del monossido di carbonio», dice Higuchi riferendosi al confronto tra i dati raccolti con Aste e quelli, relativi al monossido di carbonio appunto, raccolti con Alma.

La deduzione, a questo punto, è stata pressoché immediata: trovare tanto carbonio allo stato atomico significa che, là da quelle parti, c’è poco idrogeno in grado di ricombinarlo con l’ossigeno a formare molecole di monossido di carbonio. E poiché il gas presente nei dischi protoplanetari è in origine formato perlopiù da idrogeno, e non è questo il caso, ciò significa che il gas rilevato ora nei dischi di detriti è frutto di un processo intervenuto in un secondo tempo, come quello di collisione fra gli stessi detriti.

Prossimo passo, estendere l’indagine a ulteriori sistemi stellari. «Se riusciremo a compiere misure simili su altre giovani stelle», si augura Higuchi, «saranno di aiuto per chiarire l’origine del gas nei dischi di detriti. I nostri dati suggeriscono che si tratta di gas secondario».

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