ADDIO A GIUSEPPE TORMEN, AVEVA SOLO 56 ANNI

Grazie Bepi

Nei giorni scorsi è scomparso, dopo una lunga malattia, il fisico e cosmologo Giuseppe “Bepi” Tormen dell’Università di Padova. Pubblichiamo il ricordo scritto dall’astrofisico Luigi Guzzo, suo collega e amico da sempre

     18/06/2018

Il 10 giugno scorso ci ha lasciati prematuramente Giuseppe “Bepi” Tormen, già professore associato presso il Dipartimento di fisica e astronomia dell’Università di Padova, dopo una lunga e fiera battaglia contro la malattia che l’aveva colpito nel 2014.

Bepi si era laureato in fisica a Padova nel 1987 con una tesi di relatività generale con Fernando De Felice, per poi conseguire il dottorato di ricerca in astronomia nel 1994 con una tesi di cosmologia nel gruppo di Francesco Lucchin. A questo erano seguiti anni di specializzazione post-dottorale presso le università di Cambridge e Durham (Regno Unito) e il Max-Planck-Institut für Astrophysik di Monaco di Baviera. Era oggi universalmente conosciuto per i suoi importanti contributi alla teoria di formazione delle strutture cosmiche: il suo articolo più noto ha quasi 2000 citazioni, un record che pochi astrofisici possono vantare.

La qualità dei lavori di ricerca che Bepi ci ha lasciato riflette la precisione e il rigore che lui applicava nella vita in qualsiasi attività si trovasse coinvolto, accompagnata da quello che in inglese si definirebbe “understatement”: le cose andavano fatte bene, sempre e comunque, altrimenti meglio non farle. In questo esprimeva il suo carattere di montanaro, solido e a volte schivo, guidato da un’etica morale ferrea. In un mondo in cui, anche nella ricerca, l’immagine assume a volte più importanza del contenuto, Bepi era un uomo di sostanza e di passione, senza le quali le cose non avevano gusto.

Gli argomenti da lui affrontati e le scelte operate nel suo lavoro seguono completamente questa filosofia, senza lasciare spazio a scelte opportunistiche. Negli ultimi anni, questo l’aveva portato a dedicare sempre più energie alla didattica, sperimentando metodi innovativi nell’insegnamento di argomenti di fisica avanzata, come la teoria della relatività generale. Come mi disse durante una mia visita a Belluno, pochi mesi dopo la scoperta della malattia: «Oggi come oggi, trovo più soddisfazione nel vedere uno studente che riesce ad acquisire un concetto difficile, piuttosto che nello studiare un problema cosmologico». In quel momento non potei non riflettere su quanto l’insegnamento rappresenti un privilegio che noi docenti abbiamo per dare un senso più pieno alla vita, consapevoli che in qualche modo questa continuerà in ciò che abbiamo lasciato ai nostri discepoli.

Al di là del lavoro e della sua bella famiglia, lo stesso impegno era speso da Bepi in diverse e variegate attività; innanzitutto nella musica, che l’ha accompagnato da sempre e in tutte le sue forme. Diplomato in flauto barocco al Conservatorio di Padova, aveva anche studiato chitarra classica (arrivando vicino al diploma) e suonava egregiamente il pianoforte; pur conoscendo ed amando la musica “colta”, nelle serate quando eravamo studenti o nelle rimpatriate con i compagni del corso di laurea sapeva animare il gruppo con un repertorio infinito di pezzi pop e cantautorali, retaggio questo anche del suo impegno nelle associazioni di volontariato. Oppure nella fotografia, di cui ci lascia una ricca raccolta di bellissime immagini. Anche in queste cose si spendeva in conferenze e lezioni, a ulteriore dimostrazione dell’importanza che per lui aveva la trasmissione di qualsiasi forma di conoscenza.

Tante sono le testimonianze ricevute in questi giorni da colleghi ed amici che rivelano queste mille passioni e sensibilità. Molti, come il sottoscritto, sottolineano l’impressionante energia positiva e serenità con cui ha affrontato questi anni di battaglie contro un nemico da subito dichiarato dai medici soverchiante. A questo lui rispondeva dicendo «…Ma no, vedrai, ora proviamo questa nuova strada…» e anche qui percepivi l’animo curioso dello scienziato che, malgrado coinvolto in prima persona, provava interesse nell’esplorare vie sconosciute con la fiducia di trovare alla fine la soluzione. È questa tenacia, questa fede che gli ha fatto conquistare altri tre anni e mezzo di vita che seppur costellati di difficoltà, gli hanno permesso di stare vicino a Francesca e Michele ancora per un po’.

In tutti noi e soprattutto in chi come il sottoscritto ha avuto la fortuna di averlo come compagno di studi e amico, oltre che collega, Bepi lascia un ricordo indelebile. Il ricordo, oltre che di uno scienziato brillante, di un uomo curioso della vita, gentile e puro. Grazie Bepi.