PAOLO NESPOLI: “NON POSSIAMO TIRARCI INDIETRO”

Si torna sulla Luna, parola di Trump

Andare sulla Luna e su Marte sarà complesso ma necessario. Oramai i tempi sono maturi per fare questi passi e la cosa importante è muoversi tutti insieme, ha detto Paolo Nespoli al suo rientro a Houston. Pochi giorni prima, Donald Trump aveva firmato la Space Policy Directive 1. Non ci sono più dubbi: Luna e Marte sono i prossimi obiettivi dell'esplorazione spaziale

     21/12/2017

Rientro di Paoli Nespoli sulla Terra. Crediti: Esa – Stephane Corvaja, 2017

Il 14 dicembre scorso Paolo Nespoli, dopo 139 giorni trascorsi in orbita, ha concluso la missione Vita ed è rientrato sulla Terra. L’acronimo Vita sta per Vitalità, Innovazione, Tecnologia ed Abilità ed è stato scelto dall’Agenzia spaziale italiana (Asi) poiché il significato italiano della parola “vita” ben rappresenta gli esperimenti che Paolo ha eseguito in orbita (esperimenti di biologia, fisiologia umana nonché monitoraggio dell’ambiente spaziale, scienza dei materiali e dimostrazioni tecnologiche) e la nozione filosofica del vivere nello spazio, uno dei posti più inospitali per l’uomo che mai come adesso sembra così vicino e raggiungibile.

«Al momento sappiamo che la Stazione spaziale potrà continuare a funzionare fino al 2024», ha osservato dopo il rientro sulla Terra l’astronauta nel collegamento da Houston organizzato da Asi e dall’Esa, «ma spero che presto ricominceremo a viaggiare fuori dall’orbita bassa terrestre», quella in cui funziona l’attuale casa-laboratorio nello spazio, la Stazione spaziale internazionale, appunto, mantenuta in un’orbita compresa tra i 330 km e i 435 km di altitudine. È un futuro che non è più fantascienza, tanto che una stazione in orbita lunare è prevista dall’iniziativa NextStep promossa da Nasa e aziende private, nella quale i primi contratti per i progettare i moduli della futura stazione spaziale vedono l’Italia in prima fila. «Una stazione spaziale intorno alla Luna», ha aggiunto Nespoli, «è importante perché ci permette di testare nuove tecnologie e di capire i problemi tecnici che bisogna affrontare». Sarebbe inoltre la premessa per costruire una base lunare e poi per le missioni su Marte. «Oramai – ha aggiunto – tempi sono maturi per fare questi passi e la cosa importante è muoversi tutti insieme».

Rappresentanti del Congresso e del National Space Council si sono uniti al presidente Donald J. Trump, all’astronauta Apollo Schmidt e all’attuale astronauta della NASA Peggy Whitson lunedì 11 dicembre 2017, alla Casa Bianca, per la firma del presidente della “Space Policy Directive 1”, che rappresenta un cambiamento nella politica spaziale nazionale prevedendo un programma integrato a guida statunitense con partner del settore privato per un ritorno umano sulla Luna, seguito da missioni su Marte e oltre. Credits: Nasa/Aubrey Gemignani.

E non è l’unico a pensarla in questo modo. Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, lunedì 11 dicembre scorso, ha firmato la Space Policy Directive 1, una direttiva con la quale impegna la Nasa a sviluppare un programma innovativo e sostenibile di esplorazione spaziale con partner commerciali e internazionali per consentire l’espansione dell’umanità nel Sistema solare e riportare sulla Terra nuove conoscenze e opportunità. Questo atto formale costituisce un cambiamento nella politica spaziale americana che intende porre gli Stati Uniti alla guida di un programma spaziale mirato al ritorno dell’uomo sulla Luna, all’esplorazione umana di Marte e ad altre destinazioni nel Sistema solare. In tutto questo non sarà certamente trascurabile il coinvolgimento di partner commerciali: SpaceX, Bigelow, Blue Origin, MoonExpress e Planetary Resources sono solo alcuni dei nomi che già ora vediamo apparire in ambiziosi programmi spaziali condotti da privati.

«Andare su Luna e su Marte sarà complesso ma assolutamente necessario: è un’evoluzione da cui non possiamo tirarci indietro», ha detto Paolo Nespoli. Non ci sono più dubbi: Luna e Marte sono i prossimi obiettivi dell’esplorazione spaziale. Finanziamenti permettendo, come sottolineava ieri con un certo scetticismo Ethan Siegel su Forbes.