NEL CUORE DELL’AMMASSO GLOBULARE NGC 6101

Buchi neri a centinaia a 50 mila anni luce da noi

Pubblicato oggi su MNRAS, uno studio della University of Surrey fa luce su un fenomeno che fino a poco tempo si pensava impossibile: un ammasso globulare pieno di buchi neri. Nel team che ha compiuto la scoperta c’è Alice Zocchi, laurea a Milano e ora in Inghilterra. L’abbiamo intervistata

     08/09/2016
La regione centrale dell'ammasso globulare NGC 6101 osservata dal telescopio spaziale Hubble. Crediti: NASA

La regione centrale dell’ammasso globulare NGC 6101 osservata dal telescopio spaziale Hubble. Crediti: NASA

«Gli ammassi globulari sono spesso considerati oggetti noiosi, dei quali ormai sappiamo già tutto quel che c’è da sapere. Invece sono molto curiosi. E ogni volta che si fa uno studio approfondito salta fuori qualcosa di nuovo ed eccitante», garantisce a Media INAF Alice Zocchi – laurea e dottorato a Milano, da due anni a Guildford, nel Regno Unito, come visiting researcher – con l’entusiasmo contagioso della ricercatrice. Ebbene, stando a quanto si legge in un articolo pubblicato oggi su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, i fatti sembrano darle ragione. L’ultimo ammasso globulare finito nel mirino suo e dei suoi colleghi della University of Surrey, una “palla di stelle” a meno di cinquantamila anni luce da noi nota come NGC 6101, potrebbe ospitare centinaia di buchi neri.

Per capire come Zocchi e il suo team siano arrivati a questa conclusione, occorre anzitutto dire che NGC 6101 è parso sin dall’inizio un ammasso po’ anomalo. Pur essendo – per usare il linguaggio degli astronomi – almeno in teoria “dinamicamente evoluto”, presenta infatti tratti tipici di ammassi globulari assai più immaturi. In particolare le sue stelle, nonostante siano già tutte parecchio avanti con l’età, si comportano come si comporterebbero – e vivono dove vivrebbero – colleghe residenti in ammassi assai più giovani: ovvero, in modo indistinto, grandi e piccole insieme, distribuite ovunque in modo indipendente dalla loro massa.

Alice Zocchi, coautrice dello studio. Laurea e dottorato a Milano, da due anni Zocchi vive e lavora a Guildford, nel Regno Unito, come visiting researcher alla University of Surrey.

Alice Zocchi, coautrice dello studio. Laurea e dottorato a Milano, da due anni Zocchi è visiting researcher alla University of Surrey.

«Durante l’evoluzione di un ammasso globulare le stelle si muovono, avvengono incontri fra loro, e da questi incontri le stelle più massicce perdono velocità, mentre quelle più leggere ne acquistano. A lungo andare, scontro dopo scontro, le stelle più leggere diventano anche più veloci e si posizionano verso l’esterno dell’ammasso, mentre quelle massicce, diventate più lente, affondano verso il centro», dice Zocchi, per spiegare lo stupore iniziale suo e degli altri autori dello studio. «Ci si attenderebbe dunque di trovare le stelle più massicce concentrate nella regione centrale, e quelle più leggere in periferia. Invece in questo ammasso appaiono distribuite più o meno allo stesso modo».

Per capire cosa stesse accadendo lì dentro, hanno dunque messo a punto programmi in grado di simulare il comportamento e l’evoluzione, nel corso di miliardi di anni, di una popolazione di stelle e altri oggetti celesti appartenenti a un ammasso. Simulazioni dalle quali è emerso che, quando all’interno dell’ammasso si formano anche dei buchi neri, essendo questi molto più massicci delle stelle, sono loro ad affondare nella regione centrale. Lasciando così che tutte le altre stelle – indipendentemente dalle differenze fra le loro masse, a questo punto irrilevanti rispetto alle masse senza rivali dei buchi neri – si distribuiscano e convivano “in promiscuità” nelle regioni più esterne. Proprio come osservato per NGC 6101.

«Certo, i buchi neri non possono essere osservati in modo diretto», sottolinea Zocchi, «però in questo modo abbiamo avuto la conferma dinamica della loro presenza: l’abbiamo dedotta dal movimento delle stelle che osserviamo, e che altrimenti non sapremmo spiegarci».

Per averne la prova definitiva, si tratta ora “solo” d’attendere che – fra queste centinaia di buchi neri ammassati lì al centro – ce ne siano due che finiscano per fondersi, dando così origine a un’onda gravitazionale come quella captata lo scorso anno da LIGO.

Per saperne di più:

Guarda su YouTube il servizio video della University of Surrey: