UNA NUOVA TECNICA PER IL SUO STUDIO

Il Sole alla Van Gogh

Come impetuose pennellate a segnare le simultanee differenze di calore su un punto preciso del Sole, prese nell'arco di 12 ore e a ben dieci differenti lunghezze d'onda. È la tecnica messa a punto da Nicholeen Viall scienziata del Goddard Space Flight Institute. L'opinione di Mauro Messerotti dell'Osservatorio Astronomico di Trieste dell'INAF

     20/07/2012

Un aspetto importante e forse sottovalutato riguarda lo sforzo che fanno gli scienziati per cercare di “tradurre” dati, informazioni e immagini in un modo che li renda “comprensibili”. Questo sistema va dalla creazione delle mappe delle orbite planetarie ottenute con misurazioni notturne, alla colorazione di ciò che normalmente è invisibile, come i raggi x, per ottenere immagini del Sole.

È il caso della tecnica creata da Nicholeen Viall, una scienziata del Goddard Space Flight Institute della NASA. Ha infatti creato immagini che ricordano le “impetuose” pennellate di Vincent Van Gogh. Ma non si tratta di arte, quanto di scienza. Ogni punto di colore rappresenta infatti l’andamento del calore di una particolare zona del Sole nell’arco di 12 ore e su 10 differenti lunghezze d’onda, creati basandosi sui dati raccolti dalla sonda SDO (Solar Dynamic Observatory) della NASA.

Non capiamo perché la corona solare, l’atmosfera del Sole, sia 1000 volte più calda della superficie della nostra stella, quando tutto dovrebbe spingerci a ritenere il contrario. L’atmosfera dovrebbe essere più fredda allontanandosi dalla fonte di calore” dice Nichollen Viall, che descrive la sua tecnica su The Astrophysical Journal.

Un ruolo in questa “anomalia”, secondo gli scienziati potrebbe averlo il turbolento campo magnetico solare, o anche le spicole, getti di calore che si innalzano dalla superficie del sole, ma come questo esattamente accada è ancora oggetto di dibattito tra gli scienziati.

La Viall si è posta l’obiettivo di capire se il calore della Corona sia sempre costante, come asseriscono alcuni scienziati, o invece dipendente da numerosi nanoburst (nanoimpulsi) presenti sulla superficie del Sole.

La tecnica della scienziata della NASA si basa sull’idea di raccogliere le informazioni  delle simultanee differenze di calore su un dato punto del Sole, evitando inoltre il soggettivo processo di eliminare il contributo di radiazione dalle regioni circostanti l’area di interesse (i loop magnetici), il cosiddetto fondo. Questa simultaneità ha dato vita alle immagini alla Van Gogh.

I primi risultati ottenuti dalla Vaill sembrano contrastare l’idea di un riscaldamento costante della Corona, validando l’idea che dipenda da improvvisi e numerosi nanoburst sulla superficie.

Secondo Mauro Messerotti, dell’Osservarorio Astronomico di Trieste dell’INAF  “la tecnica di visualizzazione ideata dalla Viall è senza dubbio innovativa, in quanto consente di rappresentare l’evoluzione nel tempo della temperatura del plasma nella regione coronale cui si riferisce una serie di immagini relative allo stesso campo di vista dello strumento di osservazione. In particolare, per ciascuna posizione nel campo di vista dell’immagine, viene analizzata l’intensità della radiazione emessa a ciascuna lunghezza d’onda di osservazione, in un insieme di sei canali e su un intervallo temporale complessivo di 12 ore. Poichè la radiazione emessa ad una certa lunghezza d’onda corrisponde ad una specifica temperatura cinetica del plasma coronale emittente, è possibile assegnare a ciascun elemento di immagine (pixel) un colore che indica se la temperatura locale sia diminuita oppure aumentata nell’intervallo di tempo considerato ed una tonalità del colore che indica in quanto tempo sia avvenuto un cambiamento di temperatura. Un’immagine codificata in questo modo a falsi colori consente perciò di rappresentare, in prima approssimazione, un aspetto della termodinamica del plasma per ricavare inferenze sui processi di riscaldamento della corona. A mio avviso – conclude Messerotti –  però, bisogna considerare che l’emissione a ciascuna lunghezza d’onda corrisponde non solamente ad una specifica temperatura del plasma emittente, ma anche ad una specifica altezza coronale ove la densità del plasma assume il valore adeguato per consentire al meccanismo di emissione di operare. Considerare esplicitamente tale aspetto nella procedura di analisi potrebbe fornire una ulteriore informazione puntuale sia sull’evoluzione temporale che su quella spaziale del plasma nella regione considerata, aggiungendo un tassello utile al quadro interpretativo“.