04 maggio 2012

Gli errori cognitivi e il paradosso della psicologia pop

Negli ultimi anni numerose ricerche si sono dedicate alle distorsioni cognitive che ci spingono a prendere decisioni sbagliate ed esprimere giudizi parziali sulla base di informazioni superficiali. Ma la divulgazione popolare di questi errori spesso commette - e ci porta a commettere - esattamente lo stesso tipo di sbagliodi Samuel McNerney

Nel 1996, Lyle Brenner, Derek Koehler e Amos Tversky condussero uno studio con l'obiettivo di scoprire in che modo le persone giungono a una conclusione in base a informazioni limitate.

In un precedente lavoro, Tversky, insieme a Daniel Kahneman e altri psicologi, aveva dimostrato che le persone sono “assolutamente insensibili sia alla quantità sia alla qualità delle informazioni da cui hanno origine impressioni e intuizioni”, perciò i ricercatori sapevano già che noi esseri umani non siamo particolarmente abili nel soppesare i pro e i contro. Ma fino a che punto? Quanto siamo limitati nel valutare tutti i fatti?

Per rispondere a questa domanda, Brenner e colleghi presentarono a un gruppo di volontari alcune ipotetiche cause civili per querela. Tutti i partecipanti ricevevano alcune informazioni di base sugli eventi che avevano portato al processo; successivamente, alcuni ascoltavano gli argomenti dell'avvocato di una delle parti in causa, altri quelle dell'avvocato dell'altra parte. Un ultimo gruppo, infine, essenzialmente una giuria simulata, ascoltava entrambe le versioni.
Costruiamo la  storia migliore possibile a partire dalle informazioni che abbiamo… e se è una buona storia, ci crediamo
L'elemento chiave dell'esperimento era che i partecipanti fossero assolutamente consapevoli della situazione: sapevano benissimo di aver sentito solo una delle due parti coinvolte, oppure entrambi. Questo però non  impedì ai chi aveva ascoltato la versionedi una sola parte di esprimere un giudizio con più sicurezza - e più parzialità - di chi aveva sentito entrambe le campane. Ovvero: saltavano alle conclusioni dopo aver ascoltato solo una versione dei fatti pur sapendo che ne esisteva un'altra.

La buona notizia è che Brenner, Koehler e Tversky scoprirono che invitando i partecipanti a prendere in considerazione l'altra versione la loro parzialità diminuiva: ma non scompariva del tutto. Lo studio dimostrò quindi che le persone non solo sono portate a
saltare alle conclusioni dopo aver sentito una sola versione dei fatti, ma è assai probabile che continuino a farlo anche quando hanno a disposizione informazioni aggiuntive che suggerirebbero una conclusione differente. Ne conseguiva, osservarono un po' pessimisticamente gli scienziati, che “le persone non compensano a sufficienza le informazioni mancanti anche quando è assolutamente evidente che quelle che hanno sono incomplete”.

In questa ricerca, i partecipanti avevano a che fare con un insieme limitato di informazioni. Ma nella realtà – specialmente nell'era di Internet - abbiamo accesso a una quantità d'informazioni quasi illimitata. Di conseguenza, per acquisire informazioni e prendere decisioni ci basiamo su regole empiriche, o  euristiche, “scorciatoie mentali” che ci sono necessarie perché diminuiscono il carico cognitivo e ci consentono di organizzare il mondo: se fossimo del tutto razionali, saremmo sopraffatti.

Gli errori cognitivi e il paradosso della psicologia pop
© Images.com/Corbis
E' per questo che a noi umani piacciono le storie: perché sintetizzano le informazioni importanti in una forma familiare e facile da digerire. È molto più semplice capire gli eventi del mondo inquadrandoli nel contesto del Bene contro il Male, o di qualunque altro archetipo narrativo. Come spiega Kahneman, “costruiamo la  storia migliore possibile a partire dalle informazioni che abbiamo… e se è una buona storia, ci crediamo”. Il che implica che a contare è la bontà della storia più che la sua accuratezza.

Ma le narrazioni sono irrazionali anche perché sacrificano la completezza di un evento a favore della parte di esso che si uniforma a una certa visione del mondo. Basarsi sulle narrazioni porta quindi spesso a errori e stereotipi. E' raro che ci si chieda: “Cos'altro dovrei ancora sapere prima di potermi formare un'opinione più documentata e completa?”

Negli ultimi anni, sono stati pubblicati molti libri di psicologia divulgativa dedicati a questa linea di ricerca. Una sintesi della divulgazione sulle distorsioni cognitive e le nostre cosiddette irrazionalità suonerebbe più o meno così: una  quantità minima di informazione, spesso un singolo fatterello, ci è sufficiente per arrivare a conclusioni di cui ci sentiamo sicuri e per produrre nuove narrazioni e acquisire nuove opinioni, apparentemente oggettive, ma quasi sempre soggettive e inesatte.

Gli errori cognitivi e il paradosso della psicologia pop
© Images.com/Corbis
Le fallacie della nostra razionalità sono quindi state ampiamente illustrate al grande pubblico. Ma in tutto questo c'è un paradosso: i lettori sembrano accettare questi libri in modo acritico, cadendo preda, per ironia della sorte, di alcuni degli stessi errori da cui dovrebbero imparare a guardarsi: informazioni incomplete e  storie seducenti. E cioè: venendo a conoscenza del modo irrazionale in cui si tende a saltare alle conclusioni, si formano nuove opinioni sul funzionamento del cervello a partire dalle informazioni limitate appena ricevute. Saltano alle conclusioni su come il cervello salta alle conclusioni, e inseriscono la loro recente conoscenza in una storia più ampia che descrive romanticamente e ingenuamente la loro personale illuminazione.

L'economista Tyler Cowen illustrava un  punto di vista simile in una conferenza di alcuni mesi fa: "Ciò che trovo interessante è che nessuno di questi libri [che spiegano i modi in cui sbagliamo] sottolinea ciò che per me è il singolo, centrale e più importante modo in cui sbagliamo: che raccontiamo a noi stessi troppe storie o che ci facciamo sedurre dalle storie troppo facilmente. Ma perché questi libri non ce lo dicono? Perché riguardano tutti delle storie. Leggendoli, impariamo qualcosa su alcuni dei nostri errori cognitivi, ma ne peggioriamo degli altri. Quindi i libri stessi fanno parte dei nostri errori cognitivi."

Il punto cruciale, sottolinea Cowen, è che è quasi impossibile comprendere l’irrazionalità senza trarre vantaggio da essa. E, paradossalmente, ci basiamo continuamente su delle storie per capire quanto possono essere pericolose le storie.
Per noi esseri umani è naturale ridurre la complessità della nostra razionalità in "bocconi" di idee convenienti e facili da digerire
In effetti, esiste una differenza importante tra l’errore che deriva dall'ascoltare un'opinione su un dato argomento e la maggior parte delle narrazioni. Un correttivo quale “considera anche l'altra opinione” è difficile che funzioni nel caso delle narrazioni poiché non è sempre chiaro che cosa ciò significhi. Perciò è utile evitare di saltare alle conclusioni non solo mettendo in discussione le narrazioni (dopo tutto, quasi ogni cosa è una narrativa plausibile, perciò evitarle sarebbe esagerato) ma ascoltandone diverse per cercare di integrarle quanto meglio si riesce.

All'inizio del suo recente libro The Righteous Mind, lo psicologo sociale Jonathan Haidt spiega in che modo alcuni libri, incluso il suo, presentino un concetto (nel caso di Haidt, la moralità) come una chiave per capire tutto. Il punto di Haidt è che non si dovrebbe leggere il suo libro e saltare a conclusioni onnicomprensive sulla natura umana, incoraggiando invece i lettori a a integrare un dato punto di vista (per esempio, la moralità è la cosa più importante da considerare) con altre prospettive. Mi sembra una buona strategia per superare una visione ristretta della cognizione umana.

Gli errori cognitivi e il paradosso della psicologia pop
© Clark Dunbar/Corbis
Per noi esseri umani è naturale ridurre la complessità della nostra razionalità in "bocconi" di idee convenienti e facili da digerire. Ma chi legge libri di psicologia pop sulla razionalità deve rendersi conto che ci sono un sacco di cose che non sa, e guardarsi dalla seduttività delle storie. Leggere libri sulle distorsioni cognitive, dopo tutto, non libera nessuno dalle loro insidiose trappole epistemologiche.

Suggerisco di tenere a mente la lezione di Brenner, Koehler e Tversky, che ridussero la tendenza a saltare alle conclusioni spingendo le persone a considerare le altre informazioni a loro disposizione. Ricordiamoci che il prossimo libro sulla razionalità non esaurisce il discorso, ma è solo un altra tessera del puzzle; questo potrebbe aiutarci anche a contrastare la tendenza a essere troppo influenzati dalle narrazioni: ci sono sempre versioni diverse della stessa storia.

In definitiva, abbiamo bisogno di ricordare le regole dei filosofi: ascoltare e leggere attentamente; analizzare in modo logico le argomentazioni; cercare di evitare di saltare alle conclusioni; non fare troppo affidamento sulle narrazioni. Euripide aveva ragione: chiedere tutto, imparare qualcosa, non rispondere nulla.


(La versione originale di questo articolo è apparsa il 27 aprile scorso sul sito di Scientific American; riproduzione autorizzata)