ARTE
ARCHEOLOGIA
Il papiro di Artemidoro
In mostra a Torino, a Palazzo Bricherasio, la "Geografia" di Artemidoro di Efeso, il geografo vissuto fra II e I secolo avanti Cristo, celebre per l'accuratezza dei suoi lavori

<B>Il papiro di Artemidoro</B>

Torino - Gli archeologi, si sa, vivono sulle disgrazie altrui. Pompei-Ercolano sono la conferma massima di questa regola. Ma poi le navi di Pisa San Rossore travolte dalle inondazioni. Le decine e decine di tesori e tesoretti nascosti in pozzi o murati per sfuggire a razzie e invasioni. E ora questo "papiro di Artemidoro" e la sua avventura entusiasmante che si � conclusa in Italia, a Torino, dove va in scena, in mostra a Palazzo Bricherasio dall'8 febbraio al 7 maggio, in occasione delle Olimpiadi invernali. Perch� se un copista della met� del I secolo prima di Cristo, in una bottega di pittori cartografi forse di Alessandria, non avesse sbagliato a copiare una mappa, noi moderni non avremmo ricevuto questo papiro davvero unico in tutta l'antichit� classica, anzi tre volte unico.

Prima: il lato principale, il recto, riporta in greco la parte iniziale del secondo libro della "Geografia" di Artemidoro di Efeso, il geografo vissuto fra II e I secolo avanti Cristo, celebre per l'accuratezza, del quale non ci sono arrivate opere, ma solo poche citazioni da altri autori. A fianco del testo erano lasciati liberi degli spazi per inserire mappe e una mappa � stata tracciata, ma appunto in un ordine sbagliato. Seconda: il lato verso del papiro riporta una quarantina di disegni di animali (esistenti, fantastici e mitici), un campionario di ci� che la bottega poteva fornire come affreschi e mosaici. Terza: il recto, che aveva ancora degli spazi liberi nel testo di Artemidoro e l'unica mappa tracciata, reca un'altra serie di disegni, 23 esercitazioni disordinate dei giovani della bottega che hanno copiato particolari anatomici di statue o di calchi di statue: sei teste, sette piedi, nove mani. Il tutto in un papiro imponente anche dal punto di vista visivo, alto 32,5 centimetri e lungo quasi tre metri (2,55) diviso in due pezzi, uno di 41,5 centimetri e l'altro di 2,05 metri, con una lacuna intermedia di 13,5 centimetri.
Ora gi� il testo di Artemidoro � una novit� assoluta, ma con il testo c'� la pi� antica carta geografica del mondo classico che rappresenta un pezzo della Spagna romana. E per la prima volta lo stesso papiro reca un "taccuino di bottega", un "bestiario" campionario da far vedere ai clienti per la scelta dei soggetti, e come aggiunta esercizi di disegno degli allievi della bottega.

Insomma uno sprazzo di luce, da sfruttare appieno, sul mondo classico "sul quale sappiamo ancora troppo poco" - osserva Salvatore Settis, uno dei pi� noti archeologi italiani (anche per le polemiche in difesa del patrimonio culturale), direttore della "Normale" di Pisa e curatore della mostra insieme a Claudio Gallazzi -. Euripide ha scritto forse 103 tragedie e ne conosciamo diciassette, Sofocle 90 e ne conosciamo sette. "Possiamo leggere forse il cinque per cento dei libri della Biblioteca di Alessandria. Conosciamo l'un-due per cento della scultura: i bronzi sono ridotti a poche decine. Della pittura conosciamo ancora meno" e i disegni sono meno dei bronzi.

La mostra di Torino (catalogo Electa) � stata intitolata "Le tre vite del papiro di Artemidoro. Voci e sguardi dall'Egitto greco-romano". Tre vite. La prima � quella del testo di geografia, abortita subito per quella carta disegnata nel punto sbagliato. Per nostra fortuna - commenta Settis -, altrimenti il "papiro di Artemidoro" con la carta al posto giusto, sarebbe entrato a far parte di una delle innumerevoli biblioteche dei personaggi ragguardevoli del mondo greco-romano o della biblioteca di Alessandria e sarebbe andato perduto come abbiamo perduto la totalit� delle biblioteche. La seconda vita � quella di "taccuino di bottega" con i disegni degli animali. La terza � quella di brogliaccio, con gli esercizi di copia. Che termina negli ultimi decenni del I secolo dopo Cristo. Quando comincia una quarta vita, molto utile nell'economia egizia, la vita della carta da macero che permetteva il riciclo delle migliaia di papiri non pi� usati, logorati.
<B>Il papiro di Artemidoro</B>

Claudio Gallazzi, direttore dell'Istituto di papirologia dell'universit� di Milano, e uno dei due studiosi che per primi, nel 1998, hanno cominciato a studiare il "papiro di Artemidoro", ci ricorda che i papiri da macero, fatti a pezzi insieme a stracci, a colla e a gesso diventavano cartapesta che si poteva facilmente lavorare, sagomare e dipingere. Per farne parti di sarcofagi leggeri ed economici che venivano deposti sulle mummie, invece di usare costosi e complicati sarcofagi di legno che venivano dipinti, dorati, decorati di pietre e smalti, o sarcofagi di pietra che certamente non tutti si potevano permettere. La cartapesta serviva anche a preparare le mummie di animali come i gatti. E il "papiro di Artemidoro" � diventato "pappetta" per una maschera funeraria.

A questo punto il papiro ha cominciato una vita alla rovescia. Nella prima met� del Novecento, in una necropoli d'Egitto non identificata n� identificabile, in una tomba altrettanto vaga, tombaroli locali se ne sono impadroniti. Per cinquant'anni la maschera di cartapesta � rimasta in una collezione egiziana fino a quando gli eredi hanno deciso di fare cassa. Nel secondo dopoguerra fu venduta ad un collezionista europeo e "con le debite autorizzazioni" lasci� l'Egitto e arriv�, dopo varie mani, ad un collezionista tedesco. Per qualche anno non accadde nulla finch� il collezionista decise di far smontare la maschera per recuperare i papiri che la formavano e ne vennero fuori circa 200 pezzi. Per pi� di dieci anni i pezzi sono rimasti "frammischiati in un coacervo informe" , ma bastarono a svelare quale fosse il contenuto assolutamente sorprendente. E alla fine della ricomposizione gli studiosi ebbero fra le mani 25 documenti, pi� o meno completi, e il "papiro di Artemidoro". Per ricostruire il papiro - spiega Gallazzi - � stata utilizzata una cinquantina di frammenti "in qualche caso scampoli di 30 o 40 cm, pi� frequentemente frammenti di una decina di centimetri e spesso briciole delle dimensioni di un'unghia".
<B>Il papiro di Artemidoro</B>

Il recto del papiro reca cinque colonne di testo: tre sono quasi integre, una � conservata per due terzi, ed una "� ridotta alle sillabe iniziali di una ventina di righe". Ma le parti "che non si vedono" non sono perdute. Perch� gli archeologi sono stati doppiamente fortunati. Durante la permanenza nella bottega qualcuno ha infatti rovesciato acqua o altro liquido sul "papiro di Artemidoro" tanto da sciogliere l'inchiostro delle righe e dei disegni che per� � stato stampigliato a rovescio sul verso. Insomma righe e disegni hanno lasciato "impronte speculari su tutta la superficie del papiro". A questo punto i papirologi di Milano hanno chiesto aiuto ai colleghi fisici che con apparecchiature all'infrarosso ad altissima definizione hanno trasformato i "segni evanescenti privi di significato delle tracce a ricalco" in righe leggibili "determinanti per la ricostruzione del testo". Cos� sono state ottenute non meno di 150 righe complete e i resti di un'altra quarantina "pi� o meno guastate" che "complessivamente hanno un'estensione maggiore di tutto l'insieme dei frammenti di Artemidoro precedentemente conosciuti".

Ma perch� siamo sicuri che si tratta di Artemidoro? Perch� il pezzo iniziale di una delle colonne del testo viene citato nelle opere di tre autori: il grammatico Erodiano (II secolo dopo Cristo), Stefano di Bisanzio (VI secolo), l'imperatore Costantino Porfirogenito (X secolo), e tutti e tre lo attribuisono ad Artemidoro, esattamente al II libro della "Geografia". Ora pu� darsi, come ci insegnano le molte sorprese delle fonti antiche (e moderne), che l'imperatore e Stefano di Bisanzio si siano rifatti automaticamente al precedente autore, ma la citazione di Erodiano � decisiva.

Finora della "Geografia", formata da undici libri, - ricorda Gallazzi - conoscevamo circa 140 frammenti, quasi sempre molto brevi, talvolta di una parola, soprattutto grazie a Strabone, posteriore di poco ad Artemidoro, e a Stefano di Bisanzio. Questo del papiro ritrovato � il primo "passo esteso e non alterato". Di che cosa tratta? Dopo un "magniloquente proemio" in cui Artemidoro accosta la geografia alla filosofia, passa alla descrizione di "quella terra chiamata indistintamente Iberia oppure Spagna" ormai sotto il dominio di Roma. Descrive i Pirenei e gli altri confini, quindi inizia da Est il periplo della penisola con una descrizione delle coste, l'indicazione delle citt�, porti, foce dei fiumi, santuari, promontori, distanze.

Copiato in tutto o in parte il II libro, il papiro � stato forse trasferito ad una bottega di pittori dove c'era qualcuno in grado di disegnare le mappe negli spazi lasciati fra il testo. E qui � accaduto per nostra fortuna il "fattaccio" cio� l'errore che ha cambiato la carriera del papiro. L'unica mappa (cominciata, non completata) sembra quella della Betica, la provincia che occupava il settore Sud-occidentale della penisola. Si riconosce un fiume con un delta formato da due bracci, che potrebbe essere il Baetis, l'attuale Guadalquivir. Che sia o no la Betica non � questa la carta che ci si aspetta all'inizio di un testo che descrive la Spagna partendo dai Pirenei cio� da Est. Ci si aspetta o una carta che riproduce la Spagna nel complesso o una provincia dell'Est. Quando il pittore si � accorto dell'errore deve aver passato i guai suoi da parte del capo della bottega perch� un lavoro di quella importanza e quindi di quel costo (libro con testo e mappe) era andato a ramengo. Il committente, un personaggio facoltoso che voleva arricchire la biblioteca con un'opera celebre, oppure che si preparava ad un viaggio in Spagna, o addirittura la biblioteca pi� famosa di tutte, quella di Alessandria, rifiut� il lavoro malfatto. Eppure questa carta - ci ricorda Salvatore Settis - � per noi "la sola mappa di tutta l'antichit� classica che ci sia giunta nel contesto di un manoscritto; infatti l'unica altra carta antica", il frammento di pergamena con parte della costa del Mar Nero, "era destinata probabilmente ad essere montata su telaio ed esposta". E la "Tabula Peutingeriana", copia medievale di un originale tardoantico, ha il carattere di una serie di itinerari e non di una cartografia.

Copia e incidente della mappa devono essere accaduti "nei decenni immediatamente successivi alla met� del I secolo avanti Cristo". La scrittura ha infatti "strette analogie" con documenti certi del regno di Cleopatra o dell'inizio della dominazione di Augusto.
Il papiro rifiutato non fu per� mandato al macero. Una intera facciata era bianca e in una bottega c'� sempre bisogno di materiale su cui prendere appunti, fare schizzi, il maestro che deve far vedere ad un allievo "come si fa", spiegare ad un cliente come verranno gli affreschi o i mosaici della sua villa. Ed � quello che � accaduto. Al pi� tardi poco dopo il 25 avanti Cristo, come si ricava dall'analisi paleografica della scrittura, il maestro o gli allievi pi� provetti hanno cominciato a coprire il verso del "papiro di Artemidoro" con disegni di animali. Una quarantina, come si � detto. Di tutti i tipi. Reali e raffigurati in maniera realistica, come la giraffa, il fenicottero, l'oca o la tigre, l'elefante, uccelli e pesci. Animali fantastici, inventati perch� forse mai visti, come il pesce-sega (con la sega disegnata sulla coda) o il pesce-martello (con il martello attaccato al muso sporgente e affilato), mostri immaginari come il tonno-sega, o un quadrupede alato. Oppure animali mitici come il grifone, l'uccello stinfalide, un drago. Scarni gli elementi di paesaggio, la linea del terreno sotto le zampe, qualche ciuffo d'erba, delle rocce, tranne la tigre rampante che � collocata in un suolo roccioso di cui sono resi i particolari delle fenditure.

Gli animali sono soli o organizzati in scene o combattimento a due-tre. L'elefante agita la proboscide contro il serpente che ha le fauci spalancate; la lince balza contro il capro selvatico che si difende; lo "xiphias" morde la lunga coda del "thynnoprion" che fa altrettanto; il grifone � messo insieme al piccolo di leopardo e al leopardo femmina.
Ciascun animale ha accanto il nome in greco, come nel celeberrimo mosaico del Nilo nel museo di Palestrina (probabilmente derivato da un originale di Alessandra) e nel fregio dipinto della tomba di Marissa, II secolo avanti Cristo, del regno tolemaico e ora nel territorio di Israele.

Salvatore Settis osserva che � diverso il grado di finitura e di accuratezza dei vari disegni e che gli animali pi� singolari ed esotici sono quelli pi� curati. Non c'� traccia di colore, ma sono stati usati un inchiostro nero e uno "virato verso il grigio, diluendoli talvolta per ottenere effetti di chiaroscuro". Anche i calami sono stati due e diversi gli angoli di scrittura.
Questo affollato, variegato, movimentato e ordinato caravan serraglio poteva essere usato come "taccuino di bottega" da parte degli allievi per la preparazione di cartoni, di quadrettature per ingrandimenti. E da parte del maestro che teneva i contatti con i clienti, come campionario per la scelta dei soggetti da tradurre in dipinti sui muri o in mosaici sui pavimenti o sulle pareti.

Se il verso del papiro era occupato dagli animali, sul recto c'era ancora spazio, prima del testo e negli spazi previsti per le mappe che non erano state pi� fatte. E qui, "non molto addentro il I secolo dopo Cristo", cominciarono ad esercitarsi i giovani della bottega, a copiare particolari anatomici di statue o di calchi di statue, mani, piedi, teste. Si vede che sono esercitazioni in libert� dalle "vistose imprecisioni", dai tratti ripassati, dalle figure incompiute. Da come si presentano, in modo del tutto casuale e disordinato, qualche volta accavallate sui margini. Si capisce anche che le mani di questo "brogliaccio"sono almeno due, di un allievo bravo e uno meno bravo. E che si tratta di aspiranti pittori non scultori, dall'uso "dei calami e degli inchiostri in senso e con gusto squisitamente pittorico".

Che il "taccuino della bottega" continu� ad essere usato come tale e come campionario anche dopo la saturazione degli spazi per esercizi, ce lo dimostra una riparazione del papiro che evidentemente si era rotto. Un incollaggio senza cura tanto che un animale sul verso e una testa sul recto sono state in parte coperte. Solo negli ultimi decenni del I secolo dopo Cristo, logorato, intasato di disegni, superato dal cambio di gusto, il "papiro di Artemidoro" chiuse la seconda e terza vita. E cominci� la quarta. Quella di carta da macero poi di cartapesta. Per noi la pi� gloriosa (e fortunata).

Il "papiro di Artemidoro" pu� anche essere denominato il "papiro di Torino" perch� c'� un'altra storia da raccontare. Per circa dieci anni il papiro � rimasto invenduto sul mercato antiquario internazionale. Un po' perch� la sua esistenza era conosciuta da un ristretto numero di specialisti, un po' perch� era difficile fare un prezzo non avendo alcun materiale paragonabile. Salvatore Settis ha detto che da quando scopr� l'esistenza del papiro attraverso le foto mostrategli dall'antiquario dal quale era andato per una stoffetta copta che gli piaceva, ha speso anni per sensibilizzare all'acquisto i pi� grandi musei del mondo, Louvre, British Museum, quelli tedeschi. Anche il ricchissimo e familiare Getty? "Anche il Getty" risponde Settis. E come � arrivato a Torino? "Perch� l'ho proposto alla Fondazione per l'arte della Compagnia di San Paolo di Torino". E' stato difficile? "Hanno deciso in dieci minuti". Dieci minuti, nel 2004, per decidere di pagare due milioni e 750 mila euro.

Una decisione dettata dalla filosofia della Compagnia, quella di valorizzare le collezioni dei principali musei nazionali, in questo caso dell'Egizio a cui il papiro � destinato. Per questo la Compagnia ha voluto essere parte della Fondazione del museo egizio, per questo la Compagnia coprir� il 50 per cento dei 50 milioni di euro che coster� la profonda ristrutturazione, riallestimento dell'Egizio.

In realt� questi termini non rendono l'idea di che cosa diventer� l'Egizio. Sar� in pratica una ri-fondazione, una data paragonabile al 23 gennaio 1824 quando re Carlo Felice acquist� la "collezione Drovetti", che si considera l'atto di nascita ufficiale dell'Egizio nel Palazzo dell'Accademia delle scienze, ancora la sede attuale. Perch� se allora vennero acquistati oltre semila pezzi, con i prossimi lavori lo spazio complessivo sar� quasi il triplicato. E potremo veramente chiamarlo il Grande Egizio, come ci saranno i Grandi Uffizi, la Grande Brera, la Grande Barberini. L'Egizio occuper� infatti lo spazio della Galleria Sabauda, l'altro principale museo storico di Torino, nello stesso palazzo, grazie al trasferimento della Sabauda nella manica nuova di Palazzo Reale. Si aggiungeranno gli spazi sotterranei di San Filippo Neri. Le collezioni permanenti avranno pi� spazi per una migliore presentazione e materiali usciranno dai depositi. Ci sar� spazio per le mostre temporanee e per servizi finalmente adeguati per il pubblico, i servizi di un moderno museo. Insomma il progetto, che verr� approvato prossimamente, rimetter� l'Egizio all'altezza delle collezioni e in grado di tornare ad essere il primo museo di Torino, riprendendo la supremazia che gli � stata tolta dal Museo del cinema nella Mole Antonelliana.

La formula per il trasferimento del papiro all'Egizio - ha spiegato Dario Disegni, segretario generale della Fondazione per l'arte - � "quella tradizionale del comodato gratuito per 25 anni, naturalmente rinnovabile. Questo ci permette, rimanendo proprietari, di poter disporre dei movimenti del papiro". Poich� "l'intervento sull'Egizio durer� alcuni anni si sta studiando per il 'papiro di Artemidor� un giro del mondo di uno-due anni. I contatti sono presi prima di tutto con i rappresentanti dei pi� importanti musei che siedono nel consiglio della Fondazione", Louvre, British Museum, e altri grandi musei europei. Quanto alla mostra ha avuto una richiesta di trasferta in Spagna, dal Museo di Cordoba.

La mostra. Il "papiro di Artemidoro" (e il papiro in generale) costituiscono il centro della mostra di Palazzo Bricherasio che i curatori hanno voluto con un approccio narrativo, utilizzando circa 135 opere di una quarantina di musei europei e americani. Dall'Egizio di Torino ne vengono 15, tutte distinte in modo privilegiato da strutture in rame che hanno il loro massimo, al primo piano della mostra, nella teca di sette metri di lunghezza in cui � custodito il "papiro di Artemidoro" presentato in modo da far leggere i due lati. Il recto e il verso del papiro sono riprodotti a grande scala, sotto tono, sulle pareti del salone per far apprezzare i particolari del testo, della mappa, dei disegni di animali, di statue, e anche la trama del papiro stesso.
Una teca climatizzata, con illuminazione fredda, ricordando che l'umidit� � la minaccia numero uno che a suo tempo ha fatto strage dei papiri in Europa. Le aree desertiche dell'Egitto, lontane dal Delta e dall'umida valle del Nilo, presentano invece le condizioni ideali di conservazione dei papiri.

Chiss� se il clima di Torino � favorevole alla crescita del papiro. In ogni caso i curatori hanno voluto che ci fossero vere piante di papiro (per molti saranno una sorpresa) fatte nascere da una palude illusoria e coltivate da "suoni della natura".

Viene anche spiegato come si fabbricava il papiro e come lo si usava, con lisciatoi e taglia-papiro, pestello e tavolozze da scriba, calami.
Il "papiro di Artemidoro" � stato estratto, smontato da una cartapesta, una delle parti che formavano questi particolari sarcofagi, il cosiddetto "cartonnage". E in mostra ci sono una mummia e un "pettorale" funerario, tutti e due con "cartonnage", papiri che formano "suole di mummia" dipinte.

Come spiega in catalogo Agostino Soldati, i normali, costosi sarcofagi dalle forme umane, cominciarono ad essere sostituiti durante gli ultimi secoli dell'et� faraonica da sarcofagi in cartongesso (tela e gesso). Dal principio del III secolo avanti Cristo, la tela fu sostituita da fogli e rotoli di papiri nuovi, poi papiri usati mandati al macero. Questi sarcofagi che erano direttamente appoggiati sulla mummia, erano formati da varie parti colorate e decorate: la cosiddetta maschera (con i lineamenti delle spalle, del volto del defunto e il copricapo rituale); il "pettorale" con le effigi delle divinit�; le "fasce canopiche", due-una striscia che ricoprivano le gambe; un contenitore oblungo attorno alle estremit� inferiori (su cui venivano dipinti piedi e calzari). Queste parti non riuscivano per� a coprire completamente la mummia e allora il tutto era fasciato con un ulteriore bendaggio che si avvicinava ad un autentico sarcofago (come quello in mostra).

I primi tentativi (a secco) di estrarre i papiri dal "cartonnage" furono fatti intorno al 1825 dal francese Jean Letronne senza risultati. Ma gi� tra il 1890 e il '91 l'inglese William Flinders Petrie riusc� a trovare una copia molto antica di Platone, frammenti di tragedie greche perdute e documenti integri. Le tecniche attuali di estrazione sono talmente avanzate - spiega Soldati - che si recupera anche lo strato di gesso dipinto separandolo "dall'anima di carta" con gli stessi metodi di stacco degli affreschi dai muri. Per dividere i papiri incollati li si sistema su di una rete di nylon, immersa nell'acqua con enzimi particolari (o in una soluzione di acqua e aceto, a 60 gradi). I papiri si scollano e il gesso residuo si scioglie. La rete viene sollevata e si procede al definitivo distacco dei papiri, messi ad asciugare fra fogli di carta assorbente. Gli eventuali residui di colla e gesso vengono eliminati per mezzo di ultrasuoni. Se il papiro si presenta brunito perch� intaccato dall'umidit� basta fotografarlo all'infrarosso per avere una scrittura "leggibile senza sforzo".

Da Pompei (Museo archeologico di Napoli) sono arrivati tre dipinti su muro. Due tondi, di un lettore con libro di fogli di papiro e di un fanciullo riccioluto con papiro.
Una cesta-cartella ripiena di rotuli di papiro. Erano le immagini di cui i ricchi o gli intellettuali che abitavano a Pompei amavano circondarsi nelle loro ville o sulle pareti delle biblioteche.
Questo sfondo della vita dei papiri � evocato a pi� lungo raggio, dall'Egitto greco-romano e dalla Spagna romana protagonista del "papiro di Artemidoro". Volti, sguardi. Il busto, forse di Cleopatra, in basalto, alto 54 centimetri. La statua mutila di regina di epoca tolemaica, III secolo avanti Cristo. La statua di sovrano tolemaico o romano in atteggiamento da faraone. La stele in granito rosa, alta pi� di un metro, con la parte terminale a semicerchio occupata dall'incisione di Cleopatra e del figlio Cesarione in grande apparato cerimoniale. Le teste in basalto lucido di Tolomeo I (o II) con copricapo, e di un privato cittadino, di epoca tolemaica, I secolo avanti Cristo.

Pi� impressionanti gli imperatori nati nella Spagna Betica raffigurata nella mappa del papiro, esattamente ad Italica (nei pressi di Siviglia). Traiano (testa in marmo bianco, con le ciocche dei capelli perfettamente intervallate e piegate, immagine di autorit� sicura) e Adriano (busto di marmo pentelico, con corazza decorata, barba e capelli scolpiti con attenzione da miniatore, una immagine di pronta potenza). E la testa colossale di Augusto, anche lui legato alla Spagna dove Cesare lo port� con s� quando aveva 18 anni.

Il "papiro di Artemidoro" come libro illustrato di geografia. E allora vengono presentati esempi di cartografia antica (manoscritti della "Geografia" di Tolomeo, dalle biblioteche Vaticana e Marciana), di strumenti di misurazione (la groma, strumento romano per i terreni, meridiana portatile, riga pieghevole, pesi per fili a piombo), per far capire come gli antichi riuscivano a disegnare la "Mappa mundi". La stele di un agrimensore del I secolo dopo Cristo riproduce in leggero rilievo gli strumenti di rilevamento delle distanze.
Tre frammenti della famosa "Forma Urbis", la grande (circa 13 per 18 metri) e particolareggiata pianta su lastre di marmo di Roma all'epoca di Settimio Severo, in origine applicata su di una parete della biblioteca del foro della Pace. Si cominci� a scoprirla nel 1562. Oggi i frammenti recuperati superano il migliaio, ma dovrebbero essere appena un decimo della pianta. Il frammento pi� grande in mostra (72 per 35 centimetri) rappresenta l'area della Suburra presso il colle Oppio.

Pi� emozionante il papiro color vinaccia con la pianta delle miniere d'oro, lungo quasi tre metri (2,83) datato alla XX dinastia. Sembra una "mappa del tesoro" ricomposta con le parti faticosamente riunite, tanto il papiro � frammentato in porzioni verticali, con frammenti isolati. Bellissimo un particolare del mosaico pavimentale della citt� di Gerusalemme, dall'Istituto archeologico francescano del Monte Nebo. Peccato che sia una fotografia.

A corredo dello straordinario campionario di disegni di animali, e degli esercizi di disegni sulle due facciate del "papiro di Artemidoro", a conferma della diffusione e della gran moda di queste rappresentazioni di animali, sono in mostra mosaici e affreschi da Pompei, arazzi (dal Louvre), coppe d'argento e piatti. Per gli esercizi da statue ci sono i confronti con busti, sculture, statue, ancora affreschi.
Dai Musei Vaticani ci sono sculture in marmo e granito di quegli animali (coccodrillo, pantera, pesce pantera, babuino e aquila, airone e serpenti) che un tempo, con le loro meraviglie, "attiravano pi� visitatori della Sistina", commenta Salvatore Settis.

Un mosaico che � una strisciata lunga tre metri e 44, alta 71 centimetri, riunisce nell'acqua del Nilo molti animali fra cui campeggiano al centro un ippopotamo e un coccodrillo a fauci spalancate. In mostra anche uno dei pi� famosi mosaici con pesci (da una casa della regio VIII di Pompei), dagli effetti pittorici grazie alle tessere finissime. Molti i pesci e molluschi riconoscibili. La scena centrale � rappresentata dalla lotta fra polpo e aragosta a cui assiste interessata una murena dai dentini affilati, lei che � nemica dell'aragosta e detesta il polipo.
Fra le sculture due bellissimi ritratti. Il busto di marmo di Metrodoro dai capelli e dalla barba riccioluta, e la testa, sempre di marmo, di Tolomeo "Apione". L'
Apollo di bronzo, una delle statue di questo soggetto del Museo archeologico nazionale di Napoli. In piedi, nudo, con i lunghi riccioli sul collo. La preziosit� di un vetro cammeo (alto 25 e lungo 40 centimetri) con Dioniso e Arianna, anche questo dal museo di Napoli.

Una attenzione particolare su un piccolissimo dipinto su muro (24,5 per 20 centimetri) da Ercolano, con un ritratto di Medusa molto diverso dai ritratti terribili ai quali siamo abituati. Il pittore usando sull'intonaco rossiccio un colore seppia con molte lumeggiature di biacca (o punta d'argento) ha reso la Gorgone ancora con la chioma non trasformata in serpenti. D'altra parte l'espressione della fanciulla con gli occhi sbarrati fa pensare che si stia verificando la vendetta di Minerva dopo la profanazione del tempio della dea da parte di Apollo all'inseguimento di Medusa che prima della "cura" era bellissima.

Ancora, la scena dipinta su parete della consegna da parte di Efesto, il dio del fuoco, specialista inarrivabile nel fondere e lavorare i metalli, delle armi di Achille alla madre dell'eroe Teti. Aveva le fucine prima sull'Olimpo e poi sull'Etna con i Ciclopi come aiutanti.
Per la bottega dell'artista antico, recipienti in terracotta di colori e pigmenti, pennelli, scalpelli, calibri, compassi; un papiro quadrettato per riprodurre ingrandimenti, con due disegni di un leone accovacciato e di un uccello (nulla di paragonabile al "taccuino di bottega" scoperto sul verso del "papiro di Artemidoro"). E una delle rarissime pittrici dell'epoca antica, raffigurata al lavoro proprio come caso unico o quasi, in un quadro ad affresco di Pompei (45,5 per 45,5 centimetri).

Nonostante la diffusione dell'industria della copia (di originali classici greci nel mondo romano) dei calchi, dei gessi che dovevano affollare le botteghe, rari sono i pezzi arrivati fino a noi. Con una eccezione, i calchi di Baia di cui addirittura sei sono
in mostra, pi� la testa da una copia della statua del tirannicida ateniese Aristogitone (dai Musei Capitolini).

A chiusura della mostra altre esercitazioni di disegni, ma del XV e XVI secolo. Punta metallica, penna, biacca, matita, inchiostro, acquerello, carta bianca, carta bianca preparata color rosa, color ocra. Nel nome di Pisanello, Benozzo Gozzoli, Granacci. Non senza una profonda differenza. Pisanello abbandon� la copiatura da libri di modelli per dedicarsi allo studio dal vero "in cui occupa un posto centrale lo spirito di osservazione dell'artista-disegnatore".

Goffredo Silvestri

Notizie utili - "Le tre vite del papiro di Artemidoro. Voci e sguardi dall'Egitto greco-romano". Dall'8 febbraio al 7 maggio. Torino. Palazzo Bricherasio, via Teofilo Rossi angolo Via Lagrange. A cura di Salvatore Settis e Claudio Gallazzi. Organizzata da Fondazione Palazzo Bricherasio in collaborazione con la Fondazione per l'arte della Compagnia di San Paolo. Catalogo Electa.
Orari: luned� 14,30-19,30; da marted� a domenica 9,30-18,30; gioved� e sabato apertura fino alle 22,30.
Biglietti: intero 7 euro; ridotto 5; bambini (6-14 anni ) 3,50; gruppi e convenzioni 6 euro. Visite guidate (su prenotazione) 70 euro fino a 25 persone.
Informazioni 011-57 11 811. Accesso disabili da via Lagrange 20. Per avere informazioni sui trasporti e come muoversi a Torino durante le Olimpiadi (10-26 febbraio) consultare www.torino2006.org
(6 febbraio 2006)