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Allevi, storia di un fenomeno studiato a tavolino

di Andrea Malan

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29 dicembre 2008
Il concerto nell'Aula del Senato
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È un grande pianista e compositore? È un bluff colossale? Dopo l'intervista di Uto Ughi a «La Stampa», in cui il celebre violinista si è duramente scagliato contro Giovanni Allevi, la polemica infuria, sulla stampa e sul web, tra chi considera il pianista marchigiano come un impostore e chi lo ritiene un genio bistrattato. Su una cosa Ughi ha certamente ragione: il successo (incontestabile) del quasi 40enne pianista è uno straordinario fenomeno di marketing.

Un po' di storia.
Giovanni Allevi può essere definito un giovane solo in una gerontocrazia come l'Italia: compirà infatti 40 anni il prossimo 9 aprile. Nato ad Ascoli Piceno, si diploma nel 1990 in pianoforte al Conservatorio di Perugia. Nel 1997 conosce Jovanotti e suona in alcune delle tournée del suo gruppo. Fino al 2005, però (ovvero fino a 35 anni di età), la sua carriera è quella di un pianista con formazione classica che sceglie invece una musica più facile da suonare e con un pubblico sicuramente più vasto. A fine 2004 ha già pubblicato due album, ma la sua presenza mediatica comprende soprattutto le rubriche dei programmi musicali; quella del Corriere della Sera riporta ancora nel 2004 concerti gratuiti (per esempio) per il pubblico della libreria Fnac di Milano, la città dove si è trasferito.

Il decollo.
Il colpo di genio (dei suoi addetti alle pubbliche relazioni) arriva proprio alla fine del 2004. Già il 21 dicembre di quell'anno si annuncia che «il pianista italiano Giovanni Allevi si esibirà al Blue Note di New York». All'epoca Allevi veniva presentato come «un pianista trasversale per la sua capacità di contaminare i generi, dalla musica classica al jazz, dal funky al pop e così via». I giornali riportano resoconti debitamente trionfalistici: «Successo al Blue Note di New York per il pianista Giovanni Allevi. Col doppio concerto di domenica (biglietti esauriti per entrambi) nel tempio del jazz, Allevi ha dato l'avvio a un tour internazionale che lo porterà in Europa e Cina». A una ricerca approfondita su Internet è peraltro sfuggita qualsiasi traccia del concerto sui media di lingua inglese. Come mai? Il concerto era organizzato in collaborazione con l'Istituto italiano di cultura, in coincidenza della rassegna «Jazz italiano a New York». Una rassegna nell'ambito della quale un discreto numero di gruppi nostrani (sempre a leggere i resoconti in italiano) fece il tutto esaurito in altri locali altrettanto prestigiosi della Grande Mela. Quanto ad Allevi, sui blog di questi giorni sono spuntati nostri connazionali allora a New York che affermano di aver ricevuto inviti per l'evento del 2005, sostenendo che il pubblico era composto in larghissima parte da italiani.

Il secondo colpo di genio.
La presenza al Blue Note, opportunamente pubblicizzata, fa da detonatore mediatico: come? non ci siamo accorti di avere in casa un artista che trionfa al Blue Note? Ecco che dal marzo 2005 le presenze di Allevi sulla stampa si moltiplicano, anche a seguito di una campagna di marketing martellante: se un «genio incompreso», che fino a sei mesi prima meritava solo qualche trafiletto o le due righe dei programmi degli spettacoli, ottiene ora interviste a piena pagina, il merito non può essere solo della sua musica.
Nell'aprile del 2005 esce il nuovo album «No concept». Ed è in quell'occasione che arriva il secondo colpo di genio. Quello di presentare Allevi – lo stesso Allevi di prima – non più come musicista fusion, ma come musicista classico a pieno titolo. Sentiamo come lui stesso si definì in quell'occasione: «Mi accusavano di volare troppo alto, così ho diviso l'album in due parti: nella prima prendo l'ascoltatore per mano con melodie accattivanti, nella seconda lo porto nei miei territori preferiti. (..) La mia non è contaminazione; la contaminazione è debole e soggetta alle mode. La mia è una musica dallo sviluppo rigoroso. Per questo non sono un jazzista ma un compositore europeo».

La nuova strategia non comprende solo la musica di Allevi, ma (come si addice a un fenomeno mediatico) il vendere Allevi come giovane e la sua capigliatura alla Lucio Battisti prima maniera. Ma al centro c'è soprattutto un'autoesaltazione che cresce col tempo, fino alla piccata risposta di domenica alle critiche di Uto Ughi: la mia «è una musica colta che non può prescindere dalla partitura scritta» afferma Allevi nella lunga lettera a La Stampa. Una musica che autodefinisce «un progetto visionario» per «gettare le basi di una nuova musica colta contemporanea».
L'opinione che ha Allevi di sé stesso è sicuramente all'altezza dell'alterigia di Beethoven. Quella che hanno di lui gli altri è a volte diversa. Per uscire dalla polemica italiana vediamo la definizione di Allevi che dà il sito svizzero «Schwingende Klangwelt», che ne vende i CD: «Il giovane pianista e compositore – dice recensendo «Joy» – è regolarmente nelle classifiche italiane dei dischi pop, poiché i suoi pezzi orecchiabili, che si appoggiano alla tradizione classica ma la mescolano con elementi di pop e jazz, sono dei motivetti che non si dimenticano. Allevi scrive e suona con mano leggera melodie che sono ben fatte e sono perfette come rilassante passatempo serale, senza essere noiose. Molti dei suoi pezzi trasmettono una nonchalance tutta italiana e mettono di buon umore. Un CD per tutti i fan di Einaudi».

  CONTINUA ...»

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