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La svolta dell'americana Chiede di deporre, lo farà l'ultimo giorno

Amanda in aula sbuffa e canta

«Non mangio gli uomini ho avuto soltanto due amori»

DA UNO DEI NOSTRI INVIATI

PERUGIA — Amanda decide di parlare, di prendere la parola, di raccontare al giudice la sua verità. Dichiarazioni spontanee, le chiamano. Lei a metà giornata sussurra la richiesta all'orecchio del suo avvocato, glielo dice con parole diverse ma il concetto è quello, «fammi parlare»: insieme, decidono che accadrà a fine ottobre, nell'ultimo giorno dell'udienza preliminare. Ma ciò che dirà al giudice, Amanda lo sa già. Parlerà dei suoi soldi e dei suoi amori italiani; soprattutto, della notte del delitto. Per essere convincente, la strategia è chiara: dare di sé una nuova immagine.

Al giudice dunque racconterà la sua verità, già svelata a chi le è accanto da dieci mesi, dal momento dell'arresto. Dettagli della sua vita privata: «Mi hanno descritto come una mangiatrice di uomini, hanno detto che ho avuto una lista di amanti lunga così, ma io qui in Italia ne ho avuti solo due». Dettagli del suo conto corrente: «Avevo quattromilacinquecento dollari sul conto, a novembre, e il cinque ho prelevato 362 euro, i soldi per l'affitto. Non capisco: hanno detto che ho ucciso Meredith per rubarle poche centinaia di euro. Non ha senso». Soprattutto, confermerà quanto ha già detto sulla notte del delitto: «Rudy è un bugiardo, io l'ho passata con Raffaele, siamo stati a casa sua».

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Prima di essere arrestata, in questura, aveva scritto il contrario: si era collocata nella casa al momento dell'assassinio. Ma adesso ciò che conta è dare di sé un'immagine migliore: all'udienza, Amanda «viso d'angelo» Knox è la prima ad arrivare, tre minuti alle dieci, e l'ultima ad andarsene, alle 18 e 37. Nella sua camicina bianca coi fiorellini rossi gialli e blu ricamati sul colletto, i suoi jeans stirati, le sue ballerine scure. Senza ferri ai polsi, le mani curate, le unghie corte. All'uscita guarda i fotografi e sbuffa. Un filo di rimmel e gli orecchini, nient'altro. I capelli a mezza coda ma neanche più biondi. Vuole mandare un messaggio, in questo processo così seguito dai media di mezzo pianeta: non sono quella che avete conosciuto finora. Rimane in silenzio per tutta l'udienza, anche se non è facile: nell'aula «due» ci sono trenta persone in sessanta metri quadrati e Rudy è seduto tre metri più in là. Soprattutto, la famiglia Kercher — la mamma e il papà di Mez, la sorella Stephanie — è sulle sedie dietro la sua. La osservano spesso, lei non si volta, ascolta con attenzione il giudice, l'interprete che conferma in inglese ciò che lei ha già capito in italiano.

L'udienza è, a tratti, drammatica. Come quando Patrick Lumumba — tirato dentro l'inchiesta dalle sue dichiarazioni e finito in carcere nei primi giorni dopo il delitto — la accusa di avergli rovinato la vita. Amanda tace e per lei interviene l'avvocato Luciano Ghirga: i toni si fanno alti, la tensione cresce. Si decide di fare una pausa e Amanda la attraversa cantando. «Sì, una canzone di Feist. Lo faccio per superare la tensione, cantare mi rilassa». Si tratta di uno stress diverso da quelli di una della sua età: questo non è un esame universitario. In ballo, qui, c'è un'accusa per violenza sessuale e omicidio. Eppure, lei, nell'attesa che l'udienza ricominci, offre anche caramelle agli avvocati. E a più persone confida che è dimagrita perché «ogni giorno faccio un'ora di footing. E faccio tante altre cose. Ho cominciato a studiare il russo, miglioro con l'italiano, col tedesco e col francese. Le mie compagne di cella si lamentano perché studio troppo». E sorride, abbassa lo sguardo, canticchia. Quello che vuole dire, per tutto il giorno, è chiaro: vi sbagliate, io non sono come credete.

Alessandro Capponi
17 settembre 2008

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