CRONACA

IL RITORNO DI ANNIBALE. In viaggio sulle orme del condottiero che sfid� Roma
Prima tappa Sant'Antioco, in Sardegna, la Sulk� della tradizione punica

Sardegna, l'isola che profuma di oriente
Perla contesa da Romani e Cartaginesi

DI PAOLO RUMIZ


<B>Sardegna,  l'isola che profuma di oriente<br>Perla contesa da Romani e Cartaginesi</B>

Il Porto di Sant'Antioco

IL VENTO africano si sveglia a mezzogiorno sull'isola di Sant'Antioco, a Ovest di Capo Teulada. Picchia rovente sul porto fenicio semisommerso e il castello sabaudo in cima alla collina, strapazza le bandiere dei pescherecci, fa ondeggiare le agavi, disidrata i lentischi come un enorme asciugacapelli. Ti cucina dentro. Quando succede, � meglio non uscir di casa e aspettare la sera, finch� il mare diventa "color del vino" come quello descritto da Omero, gli osti stendono bianche tovaglie sotto i pergolati e sull'Iglesiente si sveglia la brezza di terra.

Sant'Antioco - la Sulk� dei fenici e dei cartaginesi - non appartiene all'Europa. Lo dicono le vigne millenarie venute dal Libano, i leoni di pietra africani che guardano le porte della citt� perduta, i bronzi e i cocci sparsi nei campi. Lo confermano gli uomini, irsuti e taciturni come naufraghi di un mondo perduto; e le donne, olivastre, dagli occhi duri, cloni inconsapevoli della dea Demetra. Qui tutto sembra venire da oltremare, persino il mucchio selvaggio di olivastri, corbezzoli e mirti sparsi sul pendio. Anche la laguna interna, che al mattino s'incendia come un tempo a Cartagine.

Se l'Africa � vicina, Cartagine - alla periferia di Tunisi - � vicinissima. 105 miglia appena, meno della Sicilia. A bordo di una trireme ci avrei messo, per andarci, un giorno e una notte soltanto, con l'aiuto del maestrale. Un posto a bordo l'avrei trovato subito, il traffico era continuo. Oggi � tutto finito. Non esistono pi� linee passeggeri dirette: con l'aereo dovrei fare scalo a Roma e col traghetto a Trapani. Questi peripli infami sono il regalo della globalizzazione: l'Africa � diventata lontana, le isole hanno perso importanza, il Mediterraneo s'� spaccato in due, Islam contro Cristianesimo.

Proprio per questo cominciamo da qui, dove pure Annibale non � stato mai. E' in Sardegna che misuriamo la decadenza dalla gloria di allora. Qui comprendiamo il "grande gioco" che scaten� il secondo, micidiale conflitto punico. A differenza dell'Italia di oggi, Roma non trascurava le isole. Voleva fortissimamente la Sardegna perch� stava al centro del mare, e quel mare era il volano del suo dominio nascente. Per questo la rub� a Cartagine alla prima occasione, approfittando di una crudele guerra civile scoppiata in Africa dopo il primo conflitto punico. Fu allora che il padre di Annibale, Amilcare Barca, cap�: con Roma la coabitazione era impossibile.

Piero Bartoloni � il governatore-ombra di Sulk�. Come archeologo, regna incontrastato sui tremila anni di storia dell'isola, le rovine cartaginesi e la sterminata popolazione di trapassati di un territorio dove case e necropoli si toccano, in labirinti sotterranei inestricabili. Ma il professore non � solo questo. E' anche l'unico romano di Roma tenacemente filo-annibalico che esista. Lui a Sulk� ci abita apposta per stare lontano dalla Dominante. Si sente a casa sua solo in quest'ultima periferia, accanto al suo mondo perduto.

"I Fenici - racconta - venivano dal Medio Oriente, erano gente di mare come i Filistei, i palestinesi. Commerciavano la porpora e il bisso color dell'argento. Navigavano fino alla latitudine dei Quaranta Ruggenti, quando ancora i Romani abitavano in capanne di fango". Poi vennero i Cartaginesi, che erano Fenici africanizzati, intrisi di cultura greca. Anche loro erano navigatori indomiti. Con l'ammiraglio Annone spinsero le loro navi fino al golfo di Guinea approfittando degli alisei.

Ma Roma impar� presto a usare il mare, entrando in conflitto con Cartagine e battendola nello scontro navale delle Egadi. Il mare era la grande autostrada, la ricchezza, la misura del mondo conosciuto. Quando se ne allontanavano, gli antichi provavano vertigine da ignoto. Per questo le legioni, dopo aver sconfitto Annibale, avrebbero atteso decenni a conquistare la Padania, pur avendo gi� messo le mani sulle coste di mezzo Mediterraneo. Roma soffriva di mal di terra.
Per i Greci non era diverso. "Pontos" - da cui "ponte" - era la mitica passerella per l'altrove. "Andrai fin dove i popoli non hanno mai visto il mare", aveva detto un indovino a Odisseo col tono di una tremenda condanna. La paura della profonda terraferma e delle sue montagne era tale che gli elleni la battezzarono Epiro, cio� "il non misurabile". Solo un figlio di quelle selvagge Terre del Limite, Alessandro, sarebbe riuscito a rompere il tab�, spalancando ai Greci - con la conquista dell'Asia - una dimensione terrestre mozzafiato.

Vento, scampan�o, agavi che ondeggiano come alberi maestri. Saliamo sul castello sabaudo, costruito su un basamento di gigantesche pietre puniche. "Ecco, qui sei sull'ago del compasso. Intorno hai Trapani, Cartagine, Roma, le Baleari. Tutte a un tiro di schioppo. Pi� lontano, Marsiglia dei Greci. Dall'altra parte il faro d'Alessandria sul Delta del Nilo. Un po' pi� a Nord, la favolosa Colchide in fondo al Mar Nero. A Occidente, le porte dell'Oceano, le Colonne d'Ercole. Traguardi questo smisurato campo d'azione e misuri tutta la potenza marittima di Cartagine".

Ceniamo all'aperto con tonno fresco e vino fenicio, un Kanai robusto e denso come la terra di Sardegna. Il vicer� mastica in silenzio, un sole albicocca tramonta nel mare color prugna. "Vuoi davvero capire quel mondo?" chiede a bruciapelo. "Pensa a ci� che mangi. Questo tonno l'hanno preso stamattina. Sapevi che a Sant'Antioco c'� una delle ultime tonnare? E da chi credi che qui abbiano imparato la tecnica della tonnara?". Lascia la domanda in sospeso, poi stringe il pugno come per quagliare un concetto, e risponde a se stesso: "Dai Fenici".

Sono uscite le stelle, la macchina del tempo s'� messa in moto alla grande. "Prendi i nomi dei pesci. Anche quelli vengono da Oriente. Salpa, da "Shelba". Murena, da "Mrina". Triglia da "Trilia". Orata era "Orata" gi� tremila anni fa". Con l'espansione dell'Islam, l'arabo - parente stretto del fenicio - si limit� a far breccia sulla strada gi� segnata dai cartaginesi. Ammiraglio viene da "Al amir al bakhr", il capo del mare. Feluca, da "Fluka", barca. Cassero � figlio di "Al Kasr", il castello. E poi arsenale, generato da "Dar assina", la fabbrica. Roma avr� anche dominato le terre emerse, ma forse � stata solo una parentesi in un mare tutto segnato dall'Oriente. Fenici, Cartaginesi, Arabi, Greci, Turchi. E Venezia.

Luna, silenzio. Alture con rocce sommitali grigie, squadrate come fortezze, coperte di licheni arancione, disseminate di piccole lapidi. Saliamo verso il "Tofet", il cimitero dei bambini. In posti cos� i cartaginesi seppellivano i loro morti prematuri, dolcemente, in pentole da cucina in terracotta, con accanto giocattoli e piccoli doni. Il mondo punico � disseminato di queste necropoli infantili, riservate a chi non aveva passato ancora il rito dell'iniziazione.

Ebbene, su questi teneri monumenti alla piet� s'� consumato uno dei pi� sporchi imbrogli della storiografia. I cartaginesi, si disse, sacrificavano i loro primogeniti, li sgozzavano da bambini e li gettavano nel fuoco, per ingraziarsi il dio Molok. L'idea prese piede nell'Ottocento e fu in gran voga fino alla fine del ventesimo secolo. Nessuno osava contestarla. Tutto congiurava a tenerla in piedi. La "damnatio memoriae" dei Romani contro il "perfido" Annibale e la sua gente, la diffidenza latina contro i levantini "imbroglioni", il pregiudizio cattolico contro i pagani. Perfino l'accusa dei sacrifici rituali di bambini, mossa contro gli ebrei, e poi trasferita pari pari sui loro cugini naviganti.

"Era, ovviamente, una balla colossale. Non ci volle molto a capirlo. Allora la mortalit� era altissima, sette bambini su dieci morivano nel primo anno di vita; se avessero sacrificato i sopravvissuti, l'intero popolo fenicio si sarebbe estinto". Bartoloni raccoglie una piccola pietra incastrata in una fessura, la soppesa, la alza verso le stelle. Mormora: "Chiss� chi l'ha messa, e quando". Poi sillaba: "Bet-El". Casa di Dio. E' il nome di quel sasso. Nel mondo semita bastava una pietra a rappresentare il Tutto.

Chiss� quanto peseranno le ceneri di Annibale, si chiedevano ironicamente i Romani a guerra finita. La domanda era costruita apposta per ricevere in risposta un'unica parola: "Niente". La conferma, cio�, che il grande babau era diventato nulla, era sparito dalla storia. Ma i Romani non avevano fatto i conti col mito. La leggenda che - come vedremo - avrebbe invaso il Mediterraneo per secoli dopo la sua morte.

(1 - continua)

(30 luglio 2007)

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